sabato 26 giugno 2021
35 anni fa gli ispettori della Difesa andarono nelle sedi Caritas per controllare le attività dei giovani. Dopo le incomprensioni iniziali, il servizio civile divenne anche per lo Stato una ricchezza
Una manifestazione in piazza degli obiettori di coscienza a settembre 1965

Una manifestazione in piazza degli obiettori di coscienza a settembre 1965 - Archivio Avvenire

COMMENTA E CONDIVIDI

Il 13 novembre 1986 in una decina di sedi e centri di assistenza della Caritas si presentano ispettori del ministero della Difesa, accompagnati dai carabinieri. Un vero e proprio blitz a Roma, Novara, Milano, Verona, Lucca, Piacenza, Modena e Fidenza per controllare gli obiettori di coscienza impegnati nelle attività della Caritas. A Roma provoca anche un caso diplomatico perché la sede dell’organizzazione si trova nei Palazzi Laterani, sede extraterritoriale. Ma è l’ispezione a tappeto che provoca sconcerto. Ricordiamo che l’obiezione di coscienza al servizio militare di leva viene riconosciuta nel 1972 e con essa il servizio civile.

Nel 1976 in occasione del Convegno della Chiesa Italiana "Evangelizzazione e promozione umana", don Giuseppe Pasini, allora stretto collaboratore di don Giovanni Nervo, portò all’assemblea generale questa mozione: «La Commissione chiede al Convegno di fare propria la proposta di farsi carico della promozione del servizio civile sostitutivo di quello militare nella comunità italiana, come scelta esemplare e preferenziale dei cristiani, e di allargare la proposta di servizio civile anche alle donne». L’assemblea accolse la proposta con un lunghissimo applauso. Il 10 giugno 1977 la Caritas Italiana firma col ministero della Difesa la convenzione per il servizio civile degli obiettori di coscienza. Il 15 settembre Bruno Maggi di Milano e Alfredo Remedi di Genova sono i primi due obiettori di coscienza a prendere servizio in Caritas. Saranno negli anni successivi più di 100mila i giovani che faranno questa importante scelta di concreta testimonianza. Un impegno che era anche di formazione, perché, spiegava don Pasini, «gli obiettori dovevano essere considerati non "manovali" per servizi ai poveri, ma giovani impegnati a rafforzare la propria personalità umana e cristiana, attraverso il servizio, l’interiorizzazione del valore della pace». Una riflessione e una modalità che al ministero proprio non capivano.

Un’incomprensione che aveva portato il ministro Giovanni Spadolini a emettere una circolare che, oltre a caricare gli enti di obblighi onerosissimi, di fatto "precettava" gli obiettori di coscienza, inviandoli in associazioni, enti, organizzazioni scelte dal ministero. Era l’esatto contrario del cammino impostato dalla Caritas e da altri gruppi, che portava i giovani a crescere nelle proprie realtà fino all’approdo nei servizi della Caritas. Il rischio era così che chi si era formato per essere accanto ai poveri, ai più fragili, finisse a fare il bibliotecario in qualche comune.

L’opposizione della Caritas fu, dunque, molto netta. E, non a caso, arrivò l’ispezione. Con domande del tipo «dove stanno gli obiettori?», «come mai non sono qua?», ignorando che i giovani non stavano certo a lavorare negli uffici, ma nelle varie realtà sul territorio, nelle parrocchie, sulla strada accanto agli ultimi. Come se le sedi della Caritas fossero delle caserme e gli obiettori dei soldati/impiegati. Le proteste furono tante, ma anche l’apertura al dialogo. Meno di un mese dopo il ministro ritirò la circolare e blitz come quello di 35 anni fa non ci furono più. Molti dei giovani obiettori hanno confermato quelle scelte, tanti lavorano in Caritas e in altre organizzazioni, sempre dalla parte degli ultimi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI