giovedì 13 luglio 2017
Il segretario generale della Cei: aiutiamoli a casa loro duventi una frase viva. Il segretario di Stato vaticano Parolin: la migrazione non sia una realtà forzata, ma una scelta
Monsignor Galantino (Foto Siciliani)

Monsignor Galantino (Foto Siciliani)

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«Liberi di partire, liberi di restare», come da titolo della campagna promossa dalla Conferenza episcopale italiana: monsignor Nunzio Galantino lancia un segnale inequivocabile all’indirizzo di chi vorrebbe sostituire del tutto il principio della misericordia e dell’accoglienza con ricette troppo semplicistiche, ancor più quando non supportate da un’azione concreta. «L’espressione aiutiamoli a casa loro - risponde il segretario generale della Cei a margine del convegno Da Mani pulite a Cantone: il valore delle regole, organizzato in Senato - è un refrain troppo frequente, che non aiuta a capire veramente il problema», quando invece sarebbe necessario «tenere conto della libertà che hanno gli uomini di partire e anche di restare». «Aiutiamoli a casa loro - continua - è troppo generico, bisogna capire con quali mezzi, quali strumenti. Le persone, se vogliono restare, devono essere messe in condizione di farlo». Ma il punto non è tanto quale metodo usare o quale sia il principio più giusto da applicare per far fronte ai flussi migratori. Piuttosto, anche nel caso della frase "aiutiamoli a casa loro" si tratta di renderla «realmente viva», perché «nessuno pensa che si possa risolvere il problema dell’immigrazione dicendo "liberi tutti, avanti tutti". Nessuno ha mai detto questo», ma «soprattutto il rispetto della legalità è il primo passo per una intelligente e seria politica della mobilità umana».

Ma non basta, occorre un ulteriore chiarimento sulla tendenza, sempre più in voga, a distinguere i poveri da altri poveri in base alle condizioni che li hanno costretti ad abbandonare la loro terra. La differenza tra migranti economici e non equivale a «descrivere due tipi di povertà. È come fare la distinzione se uno preferisce morire impiccato o alla sedia elettrica». Discorso simile per chi definisce priorità per cui i poveri italiani vengono prima di chi fugge e cerca asilo da noi: «È fuori posto, vuol dire continuare ad alimentare una guerra tra poveri e le guerre tra poveri, in genere, servono soltanto ai furbi».

A rendere ancor più chiaro il concetto, arrivano in serata anche le parole del segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin: «Io credo che il discorso dell’"Autiamoli a casa loro" sia un discorso valido, nel senso che dobbiamo aiutare veramente questi paesi nello sviluppo, in modo tale che la migrazione non sia più una realtà forzata, ma sia libera. Che sia un diritto di tutti ma sia fatta non per costrizione, perché non si trovano nel proprio Paese le possibilità di vivere e di crescere. Siamo sempre lì - prosegue il cardinale - evidentemente l’emergenza continua e continua la necessità di trovare una risposta comune. Mi pare che il Papa già varie volte ha sottolineato questa esigenza di far fronte comune. Ancora una volta l’appello è che tutti facciano la loro parte. Questo fenomeno, che è un fenomeno molto urgente deve poter trovare una soluzione condivisa. Il principio della cittadinanza - aggiunge poi in merito allo Ius soli temperato - va bene, ma ci sono delle condizioni da rispettare e a cui fare riferimento».

Ad accogliere le parole di Galantino è il responsabile della comunicazione del Partito democratico, Matteo Richetti, che si mostra in piena sintonia con il segretario generale della Cei: «È come dice Galantino - osserva -. Infatti noi diciamo: cooperazione internazionale, operazioni di pace, investimenti e sviluppo per i Paesi da cui partono i migranti». Discorso simile per Matteo Renzi che coglie l’occasione per ribadire quanto già espresso nel suo recente libro: «Ho detto aiutiamoli "davvero" a casa loro perché è un principio ipocrita dire "aiutiamo i migranti a casa loro" se poi tagli i fondi alla cooperazione internazionale, come ha fatto la Lega».
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