mercoledì 3 aprile 2024
La maggioranza fa quadrato attorno al vicepremier che diserta il dibattito e il voto. Più complessa la posizione di Santanché: l'ipotesi delle dimissioni prescinde dal voto dell'Aula
Il voto con cui la Camera ha respinto la sfiducia a Salvini

Il voto con cui la Camera ha respinto la sfiducia a Salvini - Ansa

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Ancora una volta, le mozioni di sfiducia individuali contro i ministri si rivelano controproducenti: con chi deve difendersi, il governo e la maggioranza che lo sostiene, che si ricompatta per convinzione e necessità, e chi le propone che si spacca e si ritrova, a sera, a doverne giustificare il motivo.
Un film dal finale scontato, insomma. Almeno per quanto riguarda la mozione di sfiducia al vicepremier e ministro dei Trasporti, nonché segretario della Lega, Matteo Salvini. A sua difesa si ergono 211 no, i si non vanno oltre quota 129. L’accusato nemmeno è in Aula al momento del voto, nemmeno prende la parola per difendersi. Segno di sicurezza nei numeri e scelta deliberata per evitare imbarazzi, dato che il tema politico sollevato dalle opposizioni esiste, ovvero il rapporto stretto negli anni passati tra Carroccio e Russia Unita, il partito di Vladimir Putin. La tesi della Lega, illustrata dal capogruppo Riccardo Molinari, è che le relazioni sono «interrotte di fatto», da quando Mosca ha invaso l’Ucraina e il partito di Salvini ha approvato il sostegno a Kiev sia durante il governo Draghi sia durante l’esecutivo Meloni. Insomma, non servirebbe una “dismissione” formale di un accordo che comunque, è sempre la tesi di Molinari, è poco più di una dichiarazione d’intenti. Non c’è da giustificare, né in seno alla Lega né in maggioranza, il fatto che Salvini sia uno dei pochi leader europei a non aver fatto osservazioni critiche sulle recenti elezioni in Russia.

Il vicepremier Salvini durante il question time

Il vicepremier Salvini durante il question time - Fotogramma

Insomma il capo del Carroccio affronta la mozione di sfiducia senza affanni. In Aula ci va, ma per rispondere, diverse ore prima del voto, al question time. Nemmeno la premier si fa vedere al banco del governo durante la discussione e durante il voto. E anche in questo caso, nelle interpretazioni si è liberi di oscillare tra la sicurezza dei numeri e la necessità di evitare ogni imbarazzo in sede europea e internazionale. Di certo la chiamata alle armi delle forze di governo funziona, se è vero che per difendere Salvini si ripresenta in Aula Marta Fascina, l’ultima compagna di Berlusconi, e Antonio Angelucci, l’imprenditore-deputato della Lega nell’occhio del ciclone per la possibile acquisizione dell’agenzia di stampa Agi, temuta e osteggiata dalle minoranze.
Certo la tesi della maggioranza, piuttosto diffusa e ostentata, è che queste mozioni di sfiducia fanno il “solletico” e sortiscono l’esito opposto a quello desiderato dalle opposizioni. Ed è in effetti vero che le frasi pronunciate o gridate in Aula dai leader di minoranza siano più a beneficio dei telegiornali che non finalizzate a ottenere un esito diverso da quello arrivato nell’urna. E nella contrapposizione mediatica questo resterà: la maggioranza che fa professione di unità, l’asse da Pd a M5s, dal Terzo polo ad Avs che rinnova tutte le ambiguità di Salvini sulla Russia. Insomma, la mozione di sfiducia è solo il teatro per cristallizzare posizioni note.
Molto ma molto più complessa la vicenda che riguarda Daniela Santanché. Anche in serata, quando ormai era stato annunciato che il voto sulla mozione di sfiducia contro la ministra del Turismo si sarebbe tenuto il 4 aprile, continuava a circolare la voce di un rinvio. Certo, sarebbe clamoroso. La maggioranza pur di far votare le due sfiducie una dopo l’altra ha imposto un cambio dell’ordine del giorno. Imporre un rinvio aprirebbe un conflitto politico e istituzionale enorme. Ma il fatto che ci sia questa ipotesi esprime tutti i dubbi della maggioranza e anche di Palazzo Chigi su questa vicenda. Ci si potrebbe trovare a salvare oggi Santanché e a chiederne il passo indietro tra pochi giorni, in presenza di un rinvio a giudizio. E infatti tanto la ministra quanto i vertici di Fdi stanno preparandosi allo scenario della “doppia valutazione”: si voterebbe allo stato dei fatti, in presenza di un rinvio a giudizio la valutazione spetterebbe alla diretta interessata di concerto con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Certo la discussione sulla mozione-Santanché non è stata rassicurante per la ministra: Aula semivuota, solo la collega Bernini ai banchi del governo, l’impressione di qualche “novità” in arrivo dai Palazzi di giustizia. Poi l’accelerazione impressa sul doppio voto ai ministri. Ma il nodo Santanché non sparirà dal tavolo, anche se adesso la sfiducia sarà respinta. Non ne approfitterà tuttavia la minoranza, che sulla posizione della ministra vedrà alzarsi un muro per la seconda volta, tra l’altro spaccandosi perché Italia Viva non voterà in accordo con Pd, 5s, Azione e Avs.

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