mercoledì 31 gennaio 2024
La serie televisiva su Rai 1 troppo incentrata sugli amori dei protagonisti perde la possibilità di unire buona divulgazione e intrattenimento
La locandina della fiction Rai su Mussolini “La lunga notte”, con il protagonista Alessio Boni

La locandina della fiction Rai su Mussolini “La lunga notte”, con il protagonista Alessio Boni - Raiplay

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Un’occasione perduta. È la prima impressione che si ha vedendo la fiction “La lunga notte. La caduta del Duce" che in queste sere è andata in onda su Rai1. Ottima l’idea di portare sullo schermo uno dei momenti chiave della storia italiana recente. E altrettanto buona la volontà di raccontare il tutto con un linguaggio contemporaneo, che mira a coinvolgere un pubblico più vasto. La storia, come si sa, si studia male e attrae poco: in quanti conoscono che cosa accadde realmente il 25 luglio del 1943 e gli avvenimenti che lo precedettero e lo seguirono? Che cosa fu la caduta del regime di Mussolini dopo 20 anni di dittatura e le conseguenze, a partire dalla guerra civile? Decisione meritoria, quindi, ma tradotta in prodotto tv con troppa leggerezza. Che non si potesse aspirare a una ricostruzione filologica di quanto accaduto era prevedibile, proprio per la necessità di offrire una narrazione appetibile per il grande pubblico della prima serata televisiva. Impensabile quindi una precisione degna di un’altra caduta, quella di Hitler, ricostruita nel film omonimo del 2004 di Oliver Hirschbiegel a partire da un libro del grande storico tedesco Joachim Fest. Però la ricerca dell’audience ha fatto compiere alcuni scivoloni grossolani. Innanzitutto, nella trama complessiva che intreccia, fin troppo, vicende storiche con quelle amorose dei personaggi.

Così la relazione tra la nipote di Dino Grandi e il figlio del capitano (amico dello stesso Grandi) ucciso dall’Ovra e simpatizzante del Partito d’Azione diventa centrale, fors’anche per offrire giovani personaggi positivi che non fossero collegati con il regime fascista. E poi la poco fedele raffigurazione di un Mussolini imbolsito, dipendente quasi in toto da Claretta Petacci e succube di Hitler che lo convoca per strapazzarlo in malo modo. O quella di un Galeazzo Ciano dedito solo ad alcool e donne (sarà un caso?) fino a tradire la moglie Edda (figlia del duce) sulla terrazza di casa. Edda, peraltro non insensibile alle profferte del colonnello Eugen Dollman delle Ss. Un girotondo di più da soap opera che da dramma storico. Senza contare che tutti paiono mossi da sentimenti di rivalsa, se non vera vendetta.

E a proposito di storia non sono accettabili errori marchiani come quello su Grandi il quale, appena ricevuto da Vittorio Emanuele il Collare dell’Annunziata (la più alta decorazione di Casa Savoia che rendeva il prescelto un cugino del re) si rivolge al sovrano con il titolo di “Altezza”. Al di là dell’ironia (Vittorio Emanuele era alto un metro e 54), al monarca spettava sempre il titolo di “Maestà” ed è difficile che un ex ambasciatore in Gran Bretagna non lo sapesse. O la raffigurazione di una Maria José di Savoia (moglie dell’erede al trono Umberto) sfacciatamente impegnata nel promuovere trame contro il regime fino a rischiare di essere allontanata dalla Corte e dai figli. E pronta a scontrarsi con il marito, che ripete l’abusato detto della dinastia secondo il quale “in casa Savoia si regna uno per volta”. Un’occasione perduta, si diceva, per la buona divulgazione abbinata all’intrattenimento. Di sicuro si poteva fare meglio, con un occhio meno attento all’Auditel e uno più rivolto ai buoni libri di storia.

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