sabato 11 giugno 2022
L'analista: hanno retto a 20 milioni di morti nella II Guerra mondiale, si punti sul negoziato. Stoccata a Di Maio: «Non si può chiamare Putin 'animale' e poi pensare che accetti il nostro piano»
Il generale Paolo Capitini

Il generale Paolo Capitini - Frame da YouTube

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«Come diceva il premio Nobel Shimon Peres, la pace si fa con i nemici, e per farla bisogna sedersi al tavolo con la Russia». Il generale Paolo Capitini è analista militare con lunga esperienza in missioni all’estero, docente di Storia militare alla Scuola Sottufficiali dell’Esercito di Viterbo e all’Università della Tuscia. La Russia si è resa indifendibile, certo, «ma - sostiene - non è si è credibili nel proporre un piano di pace dopo aver definito Putin un animale », dice, con chiara allusione al ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

La Russia a parole è disponibile, poi chiude sempre la porta in faccia.

L’obiettivo di Putin è ridare dignità alla Russia, sedersi a un tavolo con pari dignità. Chi vuole lavorare davvero per la pace deve tirare un sospiro e tenersi dentro le parole che vorrebbe proferire.

L’Europa ha mancato?

C’è stato un errore storico nel non aver coltivato il disegno di un continente che vada dall’Atlantico agli Urali tanto caro anche a Giovanni Paolo II che parlò di «Europa a due polmoni ». L’esito di questa frattura è la politica di sanzioni alla Russia e fornitura di armi all’Ucraina che denota l’illusione che queste misure possano portare risultati concreti. È lo specchio dell’incapacità di capire una realtà molto diversa dalla nostra. E il capolavoro è stato aver trasformato uno come Erdogan, che in questo caso ha saputo tacere - uno che massacra i Curdi e abbandona al loro destino migliaia di profughi a Lesbo - in un campione della pace.

Ma la Russia si è resa indifendibile.

Non entro nel merito dei comportamenti di un regime che possiamo giustamente criticare, anche duramente, e che tuttavia mostra di avere saldamente in pugno il consenso nel Paese. Denuncio solo un errore strategico nel ritenere che con le sanzioni e con gli aiuti militari all’Ucraina avremmo potuto piegare la Russia. Crede che avremmo retto, noi, a un numero di perdite come quelle accusate dall’esercito russo e a un regime di sanzioni così duro?

Da noi ci sarebbe stata la rivolta contro il governo, giustamente forse, per aver mandato a morire decine di migliaia di ragazzi...

Ma per loro funziona diversamente. Noi possiamo andare in sofferenza se privati dell’ultimo modello di smartphone. Nel nostro modello militare il primo obiettivo è non subire perdite umane, mentre la Russia viene da una storia diversa, non essendosi fatta piegare, nella Seconda guerra mondiale, da 20 milioni di perdite in vite umane. Sperare che Putin si impietosisca per le perdite, o si intimorisca per le sanzioni è pia illusione. È criticabile, certo, la loro tendenza a sacrificare le vite di tante persone per un obiettivo strategico, ma ci si dovrebbe anche interrogare sulla nostra vulnerabilità che emerge invece, come popolo, per ragioni meramente economiche o consumistiche.

Ma non è stata anche la Russia a commettere l’errore di puntare su una guerra lampo?

Non regge l’idea di un esercito ucraino messo in piedi dalla sera alla mattina, come il nostro esercito risorgimentale o quello della Resistenza. Dal 2014, soprattutto dopo i rovesci subiti del Donbass, l’esercito ucraino si era molto rafforzato e ammodernato anche grazie all’avvicinamento alla Nato. La Russia ne era pienamente a conoscenza.

L’Ucraina è stata accusata, appunto, di essersi avvicinata alla Nato. Ma se ci fosse entrata davvero, crede che la Russia l’avrebbe invasa?

Certamente no. La Russia ha voluto interrompere questo processo, poi in corso d’opera ha ridimensionato i suoi obiettivi. Si è chiuso un ciclo operativo che puntava su Kiev, e se ne è aperto uno più ridotto, che punta a conquistare un corridoio litoraneo largo 100 chilometri per mettere in sicurezza la Crimea e lo stesso Donbass, e questo obiettivo è destinato ad andare in porto.

Quindi?

Ritengo sia giunto il momento di riprendere un dialogo che dagli accordi Jalta a quelli di Helsinki ha sempre potuto poggiare su un reciproco riconoscimento e ha portato a 70 anni di pace fra popoli che si erano a lungo fatti la guerra.

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