sabato 22 dicembre 2018
Il piccolo Sam e sua madre trasferiti all'ospedale di Malta. Sulla nave della Ong spagnola restano altre 305 persone soccorse nel Mediterraneo venerdì notte. Salvini: i porti italiani sono chiusi
(Foto Open Arms)

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«I bambini, prima passateci i bambini», urlavano i soccorritori arrivati a ridosso del gommone mezzo affondato. Il terzo salvataggio del venerdì prima di Natale. La terza strage scongiurata da Proactiva Open Arms mentre dalla Libia continuavano a dire che oramai gli scafisti sono stati battuti.

In mare aperto, intanto, Javi e gli altri volontari gridavano in tutte le lingue per infrangere il frastuono delle ondate e il fischio di un vento selvaggio: «Kids, baby, bebè, enfant, dateci i bambini». Una voce nel buio, quando il mare non è quella distesa amica che guardi dalla spiaggia, «è come il canto degli angeli nella Notte Santa», disse tempo fa una mamma approdata a Lampedusa con i suoi bambini. Ma quella era l’epoca dei porti e dei cuori aperti, non solo a Natale.

Dopo i primi piccoli trasbordati di fretta sulla lancia veloce dell’Ong spagnola, dal gommone gli uomini, quasi tutti africani subsahariani, fanno largo a una donna. Si sporge stringendo forte una coperta arrotolata. «Il modo con cui teneva quegli stracci ci ha insospettito», raccontano da Proactiva Open Arms. Dentro, fradicio e sporco, c’era Sem, nato meno di quarantott'ore prima su una spiaggia libica. Salì, la madre, lo aveva dato alla luce più in fretta che potesse. Non voleva rischiare di venire riportata indietro nella prigione dei trafficanti.


Sem tremava dal freddo. Completamente nudo. Il cordone ombelicale tagliato chissà come. Sporco di sangue rappreso e di vernice caseosa ancora appiccicata sulla testa e la schiena, non avrebbe potuto reggere ancora un giorno alla deriva. «Non potevo credere che fosse così piccolo», confessa Javi ricordando il momento in cui ha afferrato la coperta con qualcosa dentro che si muoveva.
A bordo, a quanto se ne sa, non c’era il padre. E fino a quando Salì, la puerpera, non avrà voglia di raccontare di come siano andati i nove mesi precedenti, è meglio non insistere con le domande.

Come sempre accade, tra i 307 salvati nel corso di tre interventi, nessuno aveva con sé neanche uno zainetto. Una volta i migranti che attraversavano il Mediterraneo indossavano una corazza di panni, strato su strato, per proteggersi dai gelidi sganassoni del Mar Libico d’inverno. E per portarsi appresso le uniche cose che potevano dire davvero di possedere. Negli ultimi anni neanche questa accortezza s’è vista più sui barconi, perché spesso quando il canotto va giù e c’è da vedersela tra le onde, l’armatura di stoffa s’inzuppa moltiplicando il peso e trascinando in fondo ogni speranza di salvezza.

Quella in corso davanti alla controversa area di ricerca e soccorso libica era la "missione di Natale" di Open Arms, ma nessuno si sarebbe aspettato di fotografare a bordo il presepe vivente dei naufraghi.


Insieme ai tedeschi di Sea Watch, l'ong spagnola è tornata in mare nonostante i boicottaggi dei governi Ue. Della Libia si sa sempre meno. Così, se nessuno vede i migranti in mare, nessuno saprà di altre stragi tra i flutti. Al contrario, solo tra venerdì e sabato, di traversate ve ne sono state almeno sette: per quattro di esse sono riuscite a intervenire le navi umanitarie, altre tre sarebbero state intercettate dai libici.

Unica buona notizia, il via libera di Malta al soccorso aereo per Sem e la sua mamma. In piena notte, dopo un braccio di ferro durato diverse ore, un elicottero maltese ha issato a bordo la donna e il bambino, per condurli in eliambulanza all’ospedale Mater Dei della Valletta. I due medici di Open Arms avevano lanciato immediatamente l’allarme, soprattutto perché il piccolo Sem aveva una temperatura corporea inferiore ai 34 gradi e meritava un ricovero immediato in una struttura pediatrica per stabilizzarlo e verificare le sue condizioni di salute, come ogni bambino meriterebbe. A Open Arms, però, dopo l’intervento La Valletta ha intimato di allontanarsi dalle proprie acque e di cercare altrove un porto di sbarco. Soltanto a distanza di più di 24 ore dall'allarme lanciato dalla Ong spagnola: dopo che Malta aveva negato l’approvvigionamento per i superstiti e a seguito del botta e risposta tra gli operatori umanitari spagnoli e il ministro italiano Matteo Salvini, è stata Madrid a concedere il porto di approdo di Algeciras, in Spagna. Ma ci vorranno almeno 5 giorni di navigazione.


Il gioco al rimpiattino dei leader europei risulta sempre più periglioso, specie dopo il nuovo rapporto della missione Onu a Tripoli. Per le Nazioni Unite «la Libia non può essere considerata un luogo sicuro», e coloro che riescono a tentare la fuga via mare «vengono sempre più spesso intercettati o soccorsi dalla Guardia costiera libica che li riconduce in Libia», dove molti ritrovano l'inferno da dove erano appena sfuggiti, ricorda il dossier che è stato immediatamente acquisito dalla procura presso la Corte internazionale penale dell’Aja. Nelle sue raccomandazioni finali l’Onu si rivolge proprio agli Stati membri dell’Unione Europea per chiedere di «riconsiderare i costi umani delle loro politiche e dei loro sforzi per arginare la migrazione verso l'Europa».
Ma al momento nessun Paese vuole farsi carico dei "migranti di Natale". Deve aver ragione Wislawa Szymborska, la poetessa premio Nobel polacca: «Alla nascita d’un bimbo il mondo non è mai pronto». Neanche a Natale.

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