mercoledì 1 aprile 2020
Colpito un centro per anziani già vittima di un attentato il 16 gennaio. I proprietari sono testimoni contro gli estorsori del clan. Gli inquirenti: "È una sfida ma sbagliano. Reagiremo ancora di più"
L'attentato a Foggia

L'attentato a Foggia - Ansa

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Neanche il coronavirus ferma le bombe mafiose a Foggia. Oggi in pieno giorno, poco prima delle 15, una bomba è stata fatta esplodere davanti alla Rsa per anziani, attualmente chiusa, "Il Sorriso di Stefano", in via Vincenzo Acquaviva, a Foggia. Si tratta della stessa struttura che ha già subito un attentato dinamitardo il 16 gennaio scorso. Il centro è gestito dai fratelli Luca e Cristian Vigilante, testimoni dell'accusa in un processo della Dda di Bari contro presunti appartenenti ad un clan dedito alle estorsioni. E proprio Cristian il 3 gennaio era stato vittima di un altro attentato, quando una bomba molto potente era stata fatta esplodere sotto la sua auto. La deflagrazione di oggi ha divelto la saracinesca e sventrato l'insegna luminosa del centro. Per fortuna il centro è attualmente chiuso e per le norme dell'emergenza non ci sono persone in giro.

Ma è evidente la sfida della criminalità. Perchè arriva dopo la forte reazione dello Stato che dopo i tanti attentati che hanno colpito il Foggiano ha messo in campo forze e strumenti, compresa l'apertura di una sezione della Dia nel capoluogo. Sono così arrivate operazioni, arresti, sequestri. "Ma i clan non ci stanno - ci spiega un inquirente -. Non hanno una reale strategia, anche perchè chi potrebbe farlo è in carcere, e rispondono con l'unico strumento che conoscono, la violenza. E lo fanno senza temere i controlli di questi giorni, senza temere il virus. "Non abbiamo paura", è il loro messaggio. Ma sbagliano, perchè la nostra reazione sarà ancora più forte".

Così come lo è quella delle vittime dell'attentato. "Non è giusto per questa città e per tutti i cittadini, non riesco a trovare le parole. Non esiste proprio l'ipotesi di chiudere - è il commento di Luca Vigilante presidente del gruppo "Sanità Più" che gestisce il centro -. Stiamo parlando di una struttura che gestisce le fragilità di esseri umani. Se chiudessimo in queste circostanze, avremmo fallito tutti. Abbiamo perso il significato del termine paura, si va avanti". Luca e il fratello Cristian vivono sotto tutela, ma lui si preoccupa piuttosto di chi vive vicino al centro. "Queste situazioni portano ad un disagio anche a livello sociale. Mi metto anche nei panni di chi abita in questa zona. Perché questa gente deve vivere con la paura di qualcosa che oramai non sappiamo più decifrare". Ma le reazioni degli abitanti sono diverse. "Vigilante chiudila questa struttura, basta non ce la facciamo più", urla dal balcone della propria abitazione uno dei residenti in via Vincenzo Acquaviva. Ma un altro reagisce in maniera opposta. "Ma perché devono vincere sempre loro, è bello vivere così?".

C'è una parte della città che ha deciso di non tacere, come le migliaia di persone scese in piazza il 10 gennaio nella manifestazione promossa da Libera. E proprio dall'associazione guidata da don Luigi Ciotti arrivano parole molto chiare. "La mafia foggiana non si ferma neanche con la pandemia. I clan continuano a manifestare tutta la loro prepotenza, incuranti dei divieti, aggiungendo paura su paura per le persone già chiuse in casa. Davanti all'ennesimo atto dinamitardo nessun passo indietro". Lo dichiara in una nota Daniela Marcone, vicepresidente nazionale di Libera, figlia di Francesco Marcone, vittima innocente delle mafie il cui omicidio è stato ricordato proprio ieri, 25° anniversario. Una coincidenza? "Andremo avanti ancora con più forza - ribadisce Daniela - per disinnescare la miccia della paura e della rassegnazione mantenendo l'attenzione alta nonostante l'emergenza sanitaria, perchè mai come in questo frangente storico, nonostante il grande impegno di magistratura e forze di polizia, le mafie sono forti e potenti". La vicepresidente di Libera esprime dunque "solidale vicinanza agli imprenditori vittime dell'attentato: non possiamo e non dobbiamo lasciare soli quei commercianti e imprenditori che decidono di rompere il muro del silenzio e proseguiamo sulla strada tracciata con la mobilitazione del 10 gennaio, nata dal bisogno di affermare un'urgenza, quella di ricostruire insieme le fondamenta del nostro modo di essere cittadini e di abitare le città".

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