giovedì 28 febbraio 2013
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Se siamo tra quelli che non odiano Dante, Carducci o Buzzati vuol dire che abbiamo avuto dei bravi maestri. O invece che da soli, <+corsivo>nonostante<+tondo> certa scuola, abbiamo scavato nell’intimo di quello o quell’altro autore, e l’incontro ci ha segnato. C’è insomma una scuola che "innamora" e un’altra che allontana: tante volte sentiamo dire «odiavo i "Promessi Sposi" fino a quando non li ho riletti senza i professori». La prima è la scuola che introduce nel romanzo, lo fa masticare, conoscere, intimizzare, la seconda lo impastoia tra pedanti esegesi critiche, quiz di comprensione del testo, schede di lettura... e il paradosso vuole che dell’originale si legga solo qualche stralcio. Ma così si perde l’anima: di Dante, di Carducci e di Buzzati. E per sempre la voglia di leggere.Da decenni ministri dell’Istruzione cercano soluzioni e vie innovative. Nel frattempo la scuola, che in Italia è abituata ad arrangiarsi da sé, si è aperta la strada e il risultato è sorprendente: da 12 anni a Firenze si tengono i Colloqui Fiorentini, mega convegno di tre giorni che ogni anno è dedicato a un autore della nostra letteratura e richiama migliaia di studenti delle superiori da tutta Italia. Definirlo convegno, però, è fuorviante, perché i duemila studenti che da oggi fino al 2 marzo si occuperanno di Giovanni Verga (titolo dell’edizione 2013 <+corsivo>Il semplice fatto umano farà pensare sempre<+tondo>) non saranno lì solo ad ascoltare gli esperti, ma parteciperanno attivamente a una immensa ricerca collettiva, alla fine della quale ognuno avrà appreso e ognuno avrà insegnato (lo stesso è avvenuto l’anno scorso intorno a Ugo Foscolo).Utopia? Parrebbe, se non fosse che la formula inventata una dozzina di anni fa è andata via via crescendo, oggi impegna migliaia di studenti e centinaia di professori, coinvolge le superiori di tutta Italia (l’85 per cento statali), e tra i tanti licei richiama anche qualche scuola professionale. «In tempi di emergenza educativa tutto ciò non è singolare? Non è singolare che, dopo tante astrazioni ideologiche, i nostri convegni trovino l’innovazione didattica capace di restituire ai docenti e agli studenti il coraggio per tornare a insegnare e a studiare?», si chiede Gilberto Baroni, presidente di Diesse Firenze, fondatore dei Colloqui. Ancora più singolare, allora, è il silenzio con cui i media sorvolano su un evento che qualche domanda dovrebbe pur porcela.«Porto ancora nel cuore quel mix di emozioni e la visione di una letteratura priva della pedanteria accademica dei libri, che mi hanno spianato la strada verso un approccio alla cultura coinvolgente», racconta Rosa Nicolò, III liceo classico "Nifo" di Sessa Aurunca (Caserta), reduce dall’esperienza su Ugo Foscolo, l’ultimo da cui ci aspetteremmo affinità elettive con una adolescente del 2000. «Nei Colloqui Fiorentini la classicità è reimpiantata – spiega invece la ragazza – e le eterne questioni che l’essere umano si pone sono state abbandonate alla nostra riflessione personale, affinché ognuno imparasse che le risposte vanno cercate all’interno del proprio essere».Non si apprende un autore, insomma, ma un metodo, che è scolastico ma anche di vita: «Leopardi o Montale evocano ai giovani per lo più noia e distanza. E allora perché per mesi, prima dei tre giorni di Firenze, i ragazzi si ritrovano fuori dell’orario scolastico e si confrontano sui loro testi, in un continuo tentativo di immedesimazione? – ragiona Cristina Vallebona, insegnante al liceo Einstein di Piove di Sacco (Padova) –. L’unica risposta che riesco a darmi è che si appassionano davanti a una poesia o a un romanzo solo quando vedono e sentono che li riguarda, che parla del loro cuore. Si tratta di far riscoprire loro la bellezza che in passato aveva affascinato quegli autori». Una bellezza che riacquista colore e accorcia le distanze temporali, ricordandoci che poeti resi grandi (ma anche lontani) dalla letteratura erano prima di tutto uomini e donne, come tutti noi. Lo ha capito bene Mario Cirillo, IV scientifico a Pescara, oggi approdato anche lui a Firenze: «Per me Verga era "quello che parla della barca dei pescatori"... Ora lo amo come "quello che parla di uomini". Bisogna vedere lo stesso Verga come una persona, occorre non solo leggere le sue opere, ma soprattutto "parlare" con lui». «Prima a scuola ingoiavo ciò che mi propinavano e apprendevo passivamente – conferma Nazar Lutsychyn, IV linguistico a Pescara –, ora il mio sguardo è diverso. Semplicemente partendo dall’idea di Verga, sono riuscito a far riemergere la mia». «Non si può solo imparare, bisogna capire quello che si impara e tirare le somme: mi aiuterà nel mondo e perché no, anche nella scuola», dice il suo compagno Marco.Un obiettivo che si ottiene non mandando a memoria capitoli di critica o di date (che hanno un senso solo dopo che l’opera si è amata), ma leggendo in classe i testi, commovendosi sulle loro pagine, vibrando sulle loro stesse corde. Una magia che solo l’insegnante incantatore può operare.
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