È morto padre Gavazzeni. Una vita spesa contro la «tigre dell'usura»
Missionario monfortano, ha lottato contro gli aguzzini e le «dipendenze divoranti». Nel 1994 una bomba colpì la sua parrocchia. L'arcivescovo Ambarus: testimone coerente del Vangelo che si incarna

Qualche mese fa, in un affollato convegno a Matera, ancora denunciava «le dipendenze divoranti» che affliggono la nostra società e contro le quali ha lottato per una vita: usura, che lui chiamava «la tigre», l’azzardopatia, le mafie. E ripeteva che «si esiste per gli altri» e che, «contro il male, umilmente si può fare sempre qualcosa». Se n’è andato venerdì sera, piegato dalla malattia, a 80 anni, un gigante della lotta all’usura, padre Basilio Gavazzeni, missionario monfortano bergamasco, che nella parrocchia Sant’Agnese della città dei Sassi ha trascorso gran parte del suo ministero di parroco. Nato a Verdello (Bg) il 7 luglio 1945, e ordinato sacerdote nel 1971, ha guidato per tre decenni la “Fondazione lucana antiusura Mons. Cavalla”, la quarta a nascere in Italia sulla scia della lezione «antidebito» ricevuta, diceva padre Basilio, «dal santo gesuita Massimo Rastrelli, inventore della prima. E così, nel 1994 mi trovai a denunciare i cosiddetti prestatori di denaro». Accanto a lui il prefetto Tommaso Blonda, l’arcivescovo Antonio Ciliberti (guidò la Chiesa di Matera-Irsina dal 1993 al 2003, si è spento a Roma nel 2017).
Padre Basilio, dotato di una cultura enciclopedica, creò un modello che ha fatto scuola: 30 anni di lotte, di salvataggi provvidenziali, di fervore civile. 30 anni di opposizioni a soprusi e a soggetti senza scrupoli, pronti a ingoiarsi vite umane strozzate tra debiti e fallimenti. Soggetti che, prima o poi, avrebbero chiesto “il conto” a questo sacerdote che, in molte situazioni, si ritrovò a combattere “la tigre” attorniato da pochi, veri, collaboratori (tra loro Angelo Festa che condivise la responsabilità della Fondazione). L'isolamento dei giusti è terreno fertile per la prepotenza mafiosa. Ed ecco, allora, le minacce, le intimidazioni, i primi avvertimenti, neanche troppo celati. Anzi. “La tigre” ritenne che padre Basilio avesse esagerato con le sue denunce.
È il 6 maggio 1994, sono le 23,45: una bomba sveglia il rione Agna di Matera. L’ordigno è posto all’ingresso della parrocchia di padre Basilio, rendendola inagibile. Padre Basilio è turbato ma irremovibile nel suo impegno. Con l’aiuto dei Monfortani e di Ciliberti, lui, nato e vissuto povero, crea in poco tempo un’altra chiesa, ben più grande e imponente della precedente, con tanto di sala per conferenze e concerti, e un centro sportivo con campi da volley, basket e calcio a 5.
Se l’attentato non sortì effetti, allora sarebbe stato meglio provare con la calunnia. Accuse che indussero la procura della Repubblica di Matera ad indagare su di lui; l’accusatore degli aguzzini chiamato in giudizio. Per un lungo procedimento. Una sofferenza enorme per il sacerdote, conclusa, dopo anni, con il pronunciamento di piena assoluzione. Anche da indagato, continuò a occuparsi delle vittime delle dipendenze: «Provo indignazione e mi ribello dinanzi a chi prevarica sugli altri» e «verso chi fa del potere un ambìto traguardo e poi manca al servizio», le sue parole.
«È stato un sacerdote coraggioso e lungimirante che ha sfidato l’usura e l’omertà senza mezzi termini – ha dichiarato l’arcivescovo di Matera-Irsina, Benoni Ambarus –. Non ha mai avuto paura di dire la verità, combattente anche nella malattia e nella sofferenza. Il suo stile pastorale è un modello attuale e impellente per tutti i sacerdoti» capace di «una pastorale della soglia, pronta ad andare incontro agli altri, ai lontani e ai fragili. Il suo ministero sacerdotale è testimonianza credibile e coerente di un Vangelo che si incarna nella comunità sociale e cristiana del nostro tempo».
Con la morte di padre Basilio, «abbiamo perso l'ultimo vero profeta che nell'antiusura aveva guardato in profondità le dimensioni di un male universale dell'umanità – ha detto il sociologo Maurizio Fiasco –. Grazie all'intelligenza della sua fede e all’emozione che provavamo ascoltandolo, ci permetteva di comprendere come questo male collega tutto l'umano, non solo nel nostro Paese, ma nel mondo intero». Forte la similitudine che trova don Marcello Cozzi, presidente della Fondazione nazionale Interesse Uomo: «Nello stesso giorno in cui te ne sei andato tu, 34 anni fa veniva ucciso Libero Grassi, imprenditore che non ha mai ceduto alle richieste estorsive. Tutta questa nostra battaglia in fondo inizia da lì, e io penso che quando si vive nel solco del Vangelo nulla è una coincidenza».
Con la sua scomparsa, ha affermato il sindaco di Matera, Antonio Nicoletti, la città «perde un grande uomo, un esempio coraggioso, una voce indomita che mancherà, ma che continuerà a vivere nelle opere, nelle parole e nell’amore che ha seminato. Come Amministrazione comunale ci impegniamo a tenerlo vivo non soltanto nel ricordo, quanto nelle azioni, in particolare con l’impegno per sostenere le attività della Fondazione antiusura da lui guidata fino all’ultimo giorno».
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