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IL PANE

Gianfranco Ravasi domenica 18 giugno 2006
Io ricevo il mio pane quotidiano da tante mani, da milioni di mani che hanno lavorato per me, sudato per me, rubato il tempo al sonno, al riposo, alla gioia per me. Dio mi serve per mezzo di tante creature che non conosco, che non voglio conoscere, per non essere loro obbligato. È notte fonda e, se si fosse svegli e si attraversasse la città, ci si accorgerebbe che - accanto ai nottambuli senza scopo nella vita - si muove e opera un piccolo esercito di lavoratori. Sono coloro che ci preparano la possibilità di vivere agevolmente quando ci alzeremo, oltre che di dormire in pace nel pieno della notte. Tra costoro, don Primo Mazzolari nella sua opera La parola che non passa (Dehoniane) fa emergere quelli che ci preparano il pane: nei paesi erano loro i primi a levarsi per accendere il forno e far scorrere per le strade la fragranza del pane appena cotto. Abbiamo voluto evocare proprio questa realtà così semplice, anche se un po' marginalizzata ai nostri giorni, per celebrare la festa odierna del Corpo del Signore. Il pane - come diceva quel grande sacerdote-testimone - è soprattutto un simbolo d'amore. Lo è perché nasce dai solchi della natura e dal ritmo della creazione. Lo è perché è frutto del lavoro di tante mani che consacrano il loro tempo a produrlo. Lo è perché è nell'eucaristia il segno visibile di una presenza divina invisibile. Siamo, dunque, circondati di amore, anche se non ci badiamo. Scriveva ancora don Mazzolari: «Il cristiano non ha paura di ciò che tramonta né di ciò che sorge, di ciò che crolla né di ciò che sotto il sole gli uomini ricostruiscono. Il volto inconfondibile della rivoluzione cristiana è la capacità perennemente creatrice del nostro amore fraterno».