Attualità

La denuncia. L'Italia che non difende le donne

Viviana Daloiso mercoledì 27 febbraio 2019

Leggi quasi mai applicate riguardo al problema della violenza sulle donne e quella assistita dai bambini. Risorse inadeguate per il sostegno e la protezione delle vittime, per la prevenzione, per la formazione. Associazioni e centri antiviolenza inascoltati, oltre che non finanziati. Ignoranza totale sulla reale entità dell’emergenza, sui bisogni, perfino sui reati effettivi o sull’esito dei percorsi giudiziari. C’è rabbia e delusione, fra chi ogni giorno lavora a contatto con le donne – oltre 20mila ogni anno – che chiedono concretamente aiuto, protezione, diritti. Dei femminicidi si continua a parlare – anche in vista dell’ormai vicino 8 marzo – come un dato statistico, un fenomeno sociale. E a ben vedere, dato che ogni tre giorni una donna in Italia viene uccisa e una su 3 subisce violenza. Ma scalfita nella carne delle vittime ci sono la sofferenza e l’impotenza che sui tavoli di chi analizza, e di chi decide, restano ancora invisibili.

Il “Rapporto ombra”

Non servono numeri per rendere più che mai inquietante il contenuto del “Rapporto ombra” presentato a Roma da 25 associazioni e professioniste della rete D.i.Re (Donne in rete contro la violenza) e incentrato sull’applicazione della Convenzione di Istanbul nel nostro Paese. Un documento pronto ad essere consegnato al Grevio, il Gruppo di esperte del Consiglio d’Europa che saranno in Italia dall’11 al 21 marzo per mettere a confronto, attraverso una serie di visite mirate, quanto dichiara il governo in materia di prevenzione e contrasto della violenza e quanto invece denunciano le organizzazioni della società civile. Mai distanza fu più incolmabile.

Necessari più finanziamenti

Si comincia con l’analisi dell’inconsistenza dei tre Piani di azione nazionali: a parole – soprattutto quello del 2017-2020 – aperti a un confronto con gli operatori impegnati sul territorio nel sostegno e nell’accoglienza delle donne vittime di violenza. Nei fatti, permeati dalla mancanza di previsione e stanziamento fondi per la realizzazione di questo sostegno: «Manca ogni indicazione degli impegni in termini di risorse umane ed economiche per i soggetti pubblici coinvolti (ministeri o Regioni) – spiegano gli esperti di D.i.Re – così che, oltre all’esiguità delle risorse disponibili, la maggior parte di esse è distribuita sul territorio attraverso le Regioni senza alcun criterio d’individuazione dei servizi specialistici». Insomma: pochi fondi, mal distribuiti. In Italia, d’altronde, «non esistono organismi governativi ufficiali a cui sono assegnati i compiti specifici di coordinamento, attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche e delle misure per prevenire e contrastare la violenza di genere», continua il Report. L’impatto delle misure sulla realtà, cioè, non viene verificato da nessuno fatta eccezione per qualche sparuto Osservatorio regionale (Emilia Romagna, Toscana, Molise, Alto Adige), che comunque procede per conto suo, utilizzando metodi di volta in volta diversi.

Manca un sistema di rilevazione nazionale

Ancora: non esiste un sistema di rilevazione nazionale delle donne che si rivolgono, a causa di situazioni di violenza, ai servizi sanitari e sociali. I dati diffusi sul femminicidio dal ministero degli Interni si riferiscono a tutte le donne uccise (non entrando nello specifico dei reati) e anche la recente ricerca svolta dal ministero della Giustizia sul fenomeno – sembra incredibile – «non considera i femminicidi nei quali l’autore compie il suicidio, in quanto in tal caso il processo non viene celebrato». Persino il dato relativo ai centri, alle case rifugio e ai posti letto registrato dal Dipartimento delle Pari opportunità è sbagliato: dichiara che ci sono 296 centri antiviolenza e 258 case rifugio sul territorio italiano, ma nell’elenco pubblicato non vengono dichiarati i criteri secondo i quali sono stati rilevati i dati e non si conosce il numero dei posti letto disponibili. Peccato che dal conto fatto sul campo, dalle associazioni, risulta invece che ci sono in tutto 160 Centri antiviolenza, di cui 79 hanno anche una o più case rifugio. E poi l’accesso negato alla giustizia, coi processi lenti, le pene irrisorie. Le interpretazioni superficiali della regolamentazione dell’affidamento dei figli nei casi di violenza, che con il ddl Pillon all’orizzonte rischiano di moltiplicarsi.

«Bisogna invertire la rotta»

«Siamo preoccupate, il nostro Paese sta male e serve invertire la rotta», ha commentato la presidente della rete D.i.Re, Lella Palladino. La rivendicazione forte alla base del Report – e denunciata con forza al Consiglio d’Europa – è allora «che il ruolo delle associazioni di donne finalmente sia riconosciuto, valorizzato e potenziato quale valore aggiunto e strumento cruciale per la lotta contro la violenza maschile sulle donne».