giovedì 28 aprile 2016
Govi, il genio della Lanterna
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La mimica, innanzitutto. Con gli occhi appuntiti che si accendono come una lanterna e le sopracciglia mobili che indirizzano lo sguardo di sguincio, per un ammicco, uno sberleffo o un’espressione di stupore. E poi il trucco con il cerone o le matite grasse spalmate sul viso, parrucche e baffi posticci: un lavoro d’artista. Sul palcoscenico, ritmi comici sempre perfetti, dosati da pause e movimenti del corpo ad effetto. Mugugni e sussurri quanto basta, mai una ricerca forzata della battuta e nemmeno un eccessivo gesticolare. Un clown in borghese che usava ringraziare il pubblico appena entrato in scena, questo era Gilberto Govi (1885-1966), genio della risata, inventore di una moderna commedia dell’arte targata Genova. Per i cinquant’anni dalla sua scomparsa il Comune del capoluogo ligure ha promosso una serie di iniziative: da domani fino al 26 giugno, presso la Loggia di piazza Banchi, è allestita la mostra “Gilberto Govi. L’attore, la maschera, il genovese” che propone fotografie, documenti, filmati sulla vita e la carriera dell’artista. Giovedì 5 maggio, il convegno “Govi da ieri a domani” (palazzo della Borsa, a partire dalle ore 10.00) sarà l’occasione per capire meglio il suo modo di recitare e rapportarsi con il pubblico, il suo cinema (girò quattro film, non troppo riusciti, tratti dalla sue farse di maggior successo), la forza di un attore dialettale la cui fama ha valicato i confini di una regione e per discutere sull’eredità che ha lasciato nel teatro di oggi. Il primo applauso della carriera, Govi lo strappò durante una recita nel teatrino della sua parrocchia facendo solo uno sbadiglio. Aveva sedici anni. Figlio di un bolognese dirigente delle ferrovie e di una casalinga modenese trasferitisi nella città dei “carrugi”, Gilberto, assai portato per il disegno, dopo il diploma all’Accademia di Belle arti cominciò a lavorare come progettista nelle Officine Elettriche Genovesi. Ma sopra la sua scrivania i fogli rimanevano sempre bianchi mentre i cassetti, come lui stesso raccontò più tardi, erano stracolmi di copioni da imparare a memoria. Lasciò presto il posto fisso per andare a studiare all’Accademia Filodrammatica del Teatro Nazionale di Genova dove però si recitava rigorosamente in italiano. Lui adorava il vernacolo e fondò una compagnia di dilettanti tutta sua. Ma ciò era vietato agli studenti dell’Accademia e quando il direttore gli pose l’alternativa: «Scelga: o noi o il dialetto...» fu costretto ad andarsene sbattendo la porta. Comincia così la storia che porterà Govi nei teatri di tutto il mondo (memorabile il successo ottenuto in una tournée tra Argentina, Uruguay e Cile): cinquant’anni di palcoscenico con 81 diverse commedie scritte per lui da autori come Nicolò Bacigalupo, Emerico Valentinetti, Enzo la Rosa, Enrico Bassano che gli ritagliavano i personaggi addosso seguendo la sua maschera di genovese burbero e arguto: l’avaro, il furbo, lo sciocco, figure che lui rendeva caricaturali con delle facce buffe che variavano, a seconda delle situazioni, dall’arrogante al fanciullesco, dal tenero all’arrabbiato. Titoli come Pignasecca e Pignaverde, Colpi di timone, Quello buonanima, Sotto a chi tocca, Gildo Pelagallo ingegneree, soprattutto il celeberrimo, e forse il più “goldoniano” di tutti I manezzi pe majâ na figgia (Gli artifizi per sposare una figlia). Testi che ancora oggi vengono rappresentati nei teatri della “Superba”. «Il mio primo incontro, artistico, con Govi è stato proprio con “I maneggi” – racconta l’attore e cabarettista Maurizio Lastrico – recitando in un saggio di fine anno scolastico, in quinta elementare: fu il mio battesimo teatrale, una magia che lasciò un segno. Credo che il nostro obiettivo oggi sia trasmettere ai ragazzi la forza della comicità genovese di cui Govi è un emblema». Ma qual è la sua forza? «L’aver messo in primo piano, con i suoi personaggi (sempre credibili e mai “pupazzi”), la concretezza dell’essere umano, e poi le tematiche delle commedie, “goldoniane”, e quindi esportabili». Eredi? «Mah, per l’istinto forse il pugliese Checco Zalone – conclude Lastrico – e, per qualità e precisione, il ligure Maurizio Crozza». Secondo il regista televisivo Vito Molinari, invece, che nel 1990 realizzò, con Mauro Manciotti, per la neonata Rai 3, la trasmissione Tuttogovi (che ebbe uno share di oltre due milioni e mezzo di spettatori) «Eredi di Govi non ce ne sono più: l’ultimo grande comico che gli somigliava è stato Gino Bramieri». Ma qual era il segreto della sua comicità? «La mimica, soprattutto, e una “spalla” eccezionale con la quale riusciva a duettare anche per mezz’ora di seguito, improvvisando diver- tentissime gag e situazioni prese dalla vita familiare: era la moglie Rina Gaioni – dice Molinari – con la quale formava sulla scena una coppia affiatatissima, innescando dinamiche come quelle Vianello-Mondaini e Valori-Panelli». Un talento raro quello di Govi, per il regista ligure a cui si devono programmi entrati nella storia della tv italiana come L’amico del giaguaro, Uno due tree Canzonissima, paragonabile a quello di Charlot e Buster Keaton: «Era un comico puro e non, come tanti altri, un attore comico e basta, aveva quella genialità e quel pizzico di follia che supera i tempi». Per l’attore genovese Luca Bizzarri, che ha cominciato a recitare giovanissimo con una compagnia amatoriale proprio le commedie di Gilberto Govi, è interessante l’uso che lui faceva del dialetto: «Parlava in genovese ma in modo intelligente, attraverso quella che noi chiamiamo coccina, la cadenza ligure, così ricca di musicalità: il suo non era un dialetto stretto, la lingua, almeno quando si rivolgeva alle platee “straniere”...». E che tipo di attore era, Govi? «Un gigione, ma se lo poteva permettere – sostiene Bizzarri –, l’unico che ringraziava appena entrato in scena... e una volta gli capitò di farlo addirittura prima, appena la sua ombra apparve sul palcoscenico suscitando applausi... Raccontava una storia e la faceva vedere facendosi capire da tutti, era un guitto nel senso migliore del termine. Eredi? Non ce ne sono: oggi è impensabile un attore che si trucca da solo per mezz’ora in camerino, il suo era nun altro mondo». Il programma delle celebrazioni goviane comprende anche due spettacoli di compagnie amatoriali e una rassegna cinematografica. Si concluderà il 21 giugno con la consegna all’attore Luca Zingaretti del Premio Govi per la valorizzazione del dialetto nelle sue interpretazioni del commissario Montalbano.
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