venerdì 7 agosto 2020
Nel 1963 il cantante romagnolo uscì con “Stessa spiaggia, stesso mare”: cantata anche da Mina divenne una hit. «Monicelli mi voleva per Brancaleone, poi gli incidenti... Ora sono un nonno felice»
Piero Focaccia, l’anno dopo “Stessa spiaggia, stesso mare” al Festival di Sanremo 1964 canta “L’inverno cosa fai?”

Piero Focaccia, l’anno dopo “Stessa spiaggia, stesso mare” al Festival di Sanremo 1964 canta “L’inverno cosa fai?”

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Nell’estate del Covid lo slogan “stessa spiaggia, stesso mare” potrebbe sembrare quantomeno rassicurante, un invito alla normalizzazione. Ma nel lontano 1963 quelle quattro parole risuonavano diversamente contagiose nell’atmosfera vacanziera carica di elettrizzante boom economico in un’Italia che allontanava sempre più da sé le residue macerie della guerra. Tormentone doppio Stessa spiaggia, stesso mare (con la virgola o meno), lanciata da Piero Focaccia e catturata al volo da Mina. Per l’esordiente giovane cantante romagnolo avrebbe potuto essere un colpo mortale, la concorrenza della Tigre di Cremona. Invece fu il suo decollo. In ogni caso, se si considerano le date di pubblicazione, il disco di Mina non dovrebbe essere considerato una cover della versione originale di Piero Focaccia. Quest’ultima uscì a giugno (anche se le matrici fanno risalire l’incisione del pezzo al 28 marzo), mentre il 45 giri di Mina venne distribuito già a metà maggio. Un giallo nel giallo è poi il fatto che la canzone è sempre stata comunemente attribuita a Edoardo Vianello, mentre riporta le firme di Piero Soffici e Mogol. «C’è questa credenza forse perché nell’anno di Stessa spiaggia, stesso mare Vianello aveva ottenuto un grande successo con Abbronzatissima, con l’arrangiamento di Ennio Morricone e quel celebre salto di ottava» dice il 76enne Piero Focaccia dalla sua Cervia dove, assieme alla moglie e ai loro due figli, si gode i nipoti di 19 e 14 anni.

Alla fine Mina l’aiutò a esplodere...

Sì, letteralmente. Avevo debuttato l’anno prima, a 18 anni, con una canzone che s’intitolava Il cappotto rivoltato. Facevo i night club a Torino, Milano, Roma come il mio amico Renzo Arbore. Come lui ero patito per lo swing e per la canzone napoletana. Cantavo e suonavo a orecchio il basso, avevo imparato qualche giro armonico e mi bastava. Ero un autodidatta, puro istinto musicale. Poi nel ’63 ho partecipato a un festival internazionale chiamato Canzoni per l’Europa che si svolgeva dopo Sanremo e che adesso è l’Eurosong Contest. Gli italiani eravamo io, Tony Dallara, Arturo Testa, Giuseppe Negroni e Nicola Arigliano. E all’inizio dell’estate ecco arrivare il successo di Stessa spiaggia, stesso mare. A Mina, a cui ero simpatico, era piaciuta molto e l’ha cantata. Mi avrà anche tolto qualche copia, ma alla fine mi ha aiutato a livello di immagine. Mina era già un mito.

E l’anno dopo il debutto a Sanremo.

Ero in coppia con Bobby Rydell con la canzone L’inverno cosa fai?, anche se avrei voluto portare Piangere non si può, un bel lento di Leuzzi e Specchia. Ero nella stessa scuderia, la Cgd, di Gigliola Cinquetti che vinse con Non ho l’età. Fu un’edizione con un gran numero di esordienti e ricordo che con Bobby Solo all’Hotel Savoy ci alloggiarono negli scantinati, senza il bagno. L’anno dopo ci dettero una camera addirittura con il frigorifero e Bobby vinse il festival con Se piangi, se ridi. Quell’anno partecipai anche al Cantagiro con la canzone Mia sorella e c’erano in gara Morandi, Paoli, Dalla, Little Tony, Celentano, tutti i grandi. Si vendeva una caterva di 45 giri, solo il Festival vendette sei milioni di dischi. Ma io non mi rendevo molto conto, avevo vent’anni e vivevo un po’ alla giornata. Pensavo a divertirmi ed ero molto amico di Gino Paoli e Gianni Morandi. Al Cantagiro c’era un certo Robertino che cantava un po’ alla Claudio Villa: mi ricordo che un giorno, eravamo a una tappa in Toscana, io e Morandi lo prendemmo e lo buttammo in mare. Questa era l’atmosfera di quegli anni.

Com’era cominciata l’avventura musicale?

A 13 anni facevo attrazione alla sera negli stabilimenti balneari a Milano Marittima cantando Modugno per i tedeschi che mi offrivano i bomboloni e i krapfen con la crema. Poi nelle balere e con il primo complessino di Cesena andavamo a suonare negli alberghi. Si faceva rock, impazzava Celentano con 24 mila baci. Anch’io mi buttavo per terra e una sera per scherzo dei ragazzi di Milano vestiti da crocerossine finsero di portarmi via in barella.

Ma il salto con l’incisione del primo disco come avvenne?

Una mia zia aveva una pensioncina dove andava in ferie il babbo di Gianni Ravera che, oltre al Festival di Sanremo, organizzava anche Castrocaro. Mio padre gli parlò di me e lui gli suggerì di iscrivermi. Era il 1962 e in gara c’era anche Iva Zanicchi. Venni notato dalla Cgd, feci un provino a Milano e da lì partì tutto.

Poi altri due Festival di Sanremo negli anni Settanta.

Nel 1971 partecipai in coppia con i Mungo Jerry, quelli di un altro tormentone, In the summertime. Con loro cantavo Santo Antonio Santo Francisco di Paolo Conte. La terza e ultima volta fu nel 1974 con Valentintango. Poi purtroppo è arrivata una grande disgrazia.

Cosa successe?

Era il 1976 e tornavamo da una serata in provincia di Caserta quando siamo andati a sbattere contro un grosso oggetto in mezzo all’autostrada finendo contro il guard rail. Io mi sono fratturato un ginocchio, ma i miei amici musicisti sono morti sbalzati fuori dall’abitacolo. Per dieci anni non ho più voluto cantare. Prima, nel ’67, un altro incidente. Ero su una 500 con la fidanzata, poi diventata mia moglie: sono stato in coma nove giorni e mi sono spezzato un femore. Ma prima ancora, nel ’65, durante una licenza militare ero finito di notte con la macchina nel porto canale a Cesenatico. Mi sono salvato aprendo la portiera e nuotando nell’acqua gelida, ma i miei due compagni non ce l’hanno fatta. Sono un miracolato, ma mi porto dentro un grande dolore per quanto successo.

Eppure la forza d’animo non è stata minata...

La vita mi ha dato tanto, anche se artisticamente avrei potuto avere un pizzico di fortuna in più. Anche come attore. Nel ’65 avevo debuttato nel cinema al fianco dell’attrice Elke Sommer nell’episodio Il trattamento di eugenetica nel film Le bambole di Luigi Comencini. Subito dopo mi aveva chiamato Mario Monicelli per L’armata Brancaleone. Avevo fatto il provino ed ero stato scritturato, ma non ho potuto girare il film perché facevo il militare in aeronautica a Viterbo e i miei superiori non mi hanno dato il permesso. Quel film l’ho rivisto il mese scorso in tv per il ventennale della morte di Vittorio Gassman. Quanto mi sarei divertito a farne parte. E quanti dischi avrei venduto se quella volta non mi avessero censurato in Spagna.

Di che censura parla?

Per la canzone Permette signora (Permite senora) nella Spagna di Franco sono stato censurato perché c’era la parola “cabron” che volgarmente voleva dire “cornuto”. L’avevo incisa a Madrid e ho ancora i 45 giri a casa che mi sono tenuto per ricordo. Poi quella canzone Nicola di Bari l’ha incisa per il mercato sudamericano ed è stato un boom.

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