giovedì 4 luglio 2019
Nel film “Aspromonte, la terra degli ultimi” il regista racconta il riscatto di una comunità: «La ricchezza e l’umanità di chi vive una povertà felice. E può cambiare il mondo»
Mimmo Calopresti

Mimmo Calopresti

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La terra è terra. Appartiene a tutti. Eppure non sembra essere di tutti. Negli anni ’50 quando ancora era abitato Africo, un paesino dell’Aspromonte, la popolazione aveva tutto, ma non sempre aveva il necessario. Come il medico. Da questo particolare indispensabile prende vita Aspromonte, la terra degli ultimi, il film di Mimmo Calopresti presentato martedì sera al Taormina Film Fest. Gli ultimi del titolo sono gli abitanti di Africo che decidono di non attendere ulteriormente le decisioni del sindaco e iniziano a costruirsi la strada principale. «Il nostro è un film di terra e sulla terra», spiega Calopresti. «Racconta un altro luogo verso cui è possibile andare, ma è possibile farlo tramite una strada, che si deve costruire. L’idea della strada è un’idea mistica, come la definirebbe Fulvio Luciano, il produttore che ha voluto questo film, dedicato alla Calabria».

Incominciamo dagli ultimi.

Per realizzare questo lungometraggio siamo partiti dall’idea di povertà felice. Si rischia di pensare che gli ultimi siano sfortunati perché non hanno niente. Ma i poveri, che hanno bisogno dell’essenziale, hanno molto da dare. Il loro modo di stare al mondo interroga la nostra esistenza.

Nella sua filmografia c’è un fil rouge che unisce le storie di finzione e i documentari: riserva sempre attenzione a chi non ha niente, a chi è contento di quello che ha pur cercando di migliorare la sua vita.

Sono figlio di immigrati che hanno lasciato la propria terra per cercare un benessere semplice e necessario. Gli ultimi sono spesso percepiti come un problema, ma il mio cinema racconta le persone, che non si identificano solo con i problemi che vivono, ma sono quel qualcosa in più che conduce all’amicizia, alla paternità, all’amore. L’universo degli esseri umani è enorme. Ogni persona è quello che è e deve cercare di esserci in questo mondo: il cinema offre la possibilità di raccontarsi, di esistere. Questa è un principio di democrazia, quella vera che non impone l’uguaglianza, che non crea masse di persone che devono seguire la stessa direzione.

Nel film c’è un cameo di Fulvio Lucisano, uno dei nostri prolifici produttori che, negli ultimi anni, ha realizzato molte commedie. È il primo film che realizza con la sua società di produzione.

Ci conosciamo da anni, da quando nel 2000 girai Preferisco il rumore del mare e mi chiamò per complimentarsi. Un giorno mi sono imbattuto nel libro di Pietro Criaco, Via dall’Aspromonte. Gliel’ho fatto leggere e lui mi ha richiamato subito. È difficile imbattersi in belle storie e questa è una di quelle. Come autore compio un passo indietro rispetto al racconto: è una storia importante che prima di tutto serve a me, come uomo, per poter guardare il mondo e capire cosa succede oggi. Provo a raccontare la verità di quella terra e posso dire che ho compiuto una ricerca quasi biblica per realizzare questo film.

Ha scelto un cast di attori quasi tutti provenienti dalla Calabria, come Marcello Fonte, il protagonista di Dogman che proprio a Cannes, dopo aver vinto il premio alla migliore interpretazione, parlò della sua Calabria.

La lingua determina la nostra esistenza: è difficile trovare attori capaci di duplicare il dialetto calabrese. Marcello Fonte interpreta Ciccio Italia, detto “U poeta”. Lui rappresenta quel mondo che è protagonista del film. Fonte è stato molto importante per me e anche per i bambini, che fanno parte della storia: è molto generoso ed è un grandissimo attore. Mi è sembrato di avere sul set Charlie Chaplin. Davanti alla macchina da presa il suo sguardo ha una semplicità, che non è facile da raggiungere. Sono contento che andrà presto in America perché è stato scelto per girare una fiction con Mark Ruffalo ( I Know This Much is True diretta da Derek Cianfrance, ndr).

Nel film c’è ancheValeria Bruni Tedeschi, la maestra che viene dal Nord.

In questo film Giulia, il personaggio di Valeria, rappresenta la luce su Africo. Alla fine delle riprese lei mi ha ringraziato per le scene che ha interpretato: il ruolo l’ha aiutata a comprendere che l’insegnamento era davvero il suo sogno di tutta una vita.

Dove avete girato il film?

Abbiamo ricostruito Africo a Ferruzzano, in provincia di Reggio Calabria. Sarebbe stato bello girare tutto il film ad Africo, ma ora è un paese irraggiungibile. Ci tenevamo a mostrare quel paesino che dà vita alla storia e allora abbiamo girato alcune sequenze: ci sono luoghi dell’anima e Africo è uno di questi. Aspromonte non è un posto violento: c’è un clima dolce, fresco, abitabile. Tra le comparse ci sono stati tanti ragazzi calabresi, che prima di arrivare sul set hanno iniziato a sviluppare alcune cooperative. Poi, durante le riprese, si sono rafforzati nell’idea che insieme, anche se hanno problemi difficili da affrontare, possono trovare la forza di scegliere una vita diversa da quella della delinquenza.

Il suo è anche un film sull’incontro con il diverso.

Mostrare l’incontro con l’altro è indispensabile. Il vero incontro avviene quando si conosce profondamente sé stessi. Ascoltare gli altri è difficile, è complicato. Quando si parla con la gente si ha l’impressione che tutti sappiano tutto di tutti, ma non è vero. Di recente ho partecipato al “Migranti Film Festival - Sulle rotte di cibi e persone” e ho incontrato uomini e donne che hanno qualcosa da dire, che si interrogano sul loro esistere e sugli altri, come i migranti, i nostri ultimi. Posso dirlo? Gli ultimi sono una ricchezza. Cambieranno il mondo. Facciamoli esistere e accogliamoli.

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