Perché il Papa dice no al «gender che annulla la differenza uomo-donna»

«Cancellare la differenza è cancellare l’umanità»: il nuovo intervento del Papa contro «questa brutta ideologia del nostro tempo» pone una questione decisiva sul piano antropologico
March 1, 2024
Perché il Papa dice no al «gender che annulla la differenza uomo-donna»
L’indifferenza sociale è malattia dell’animo, semplice da diagnosticare, difficile da curare. La sua storia patologica e le sue cause sono molteplici, ma manifesta segni e sintomi inequivocabili: disinteresse per l’altro, miopia spirituale, attaccamento morboso al posseduto, isolamento volontario in una bolla monotona, pietrificata. Se chi ne è affetto è un credente, la virtù della carità ne soffre primitivamente, con metastasi anche nella fede e nella speranza.
Le prediche laiche, non meno delle omelie, denunciano questa forma d’indifferenza ostile alla vita della comunità civile ed ecclesiale, contagiosa. Si chiedono percorsi di riabilitazione alla solidarietà sociale e all’amore del prossimo, e la ricostruzione della trama del tessuto umano e cristiano. Il Santo Padre lo ha più volte sollecitato.
Ieri l’altro, però, Francesco ha puntato il riflettore su una seconda forma d’indifferenza, più subdola e crescentemente pervasiva: l’indifferenza antropologica. Tende ad annullare o censurare la differenza nell’umano, vista come nemica delle pari opportunità, della non-discriminazione e della libertà di autodeterminazione del proprio essere nel mondo. «Cancellare la differenza è cancellare l’umanità», ha detto. L’umanità è plurale, non singolare. È questa la ricchezza e il suo splendore, che la rende «cosa molto buona» (Gn 1, 31) agli occhi di Dio, che così l’ha voluta e creata. E la prima, originaria e originante differenza antropologica è quella uomo-donna. «Uomo e donna stanno in una feconda “tensione” – ricorda il Papa – che non cancella le differenze e rende tutto uguale», come, invece, le scelte di vita affettiva “fluide” e autoreferenziali, in balia delle opzioni della «ideologia del gender, che annulla le differenze».
È significativo che questo richiamo sia nel contesto di un discorso ai partecipanti al convegno “Uomo-Donna immagine di Dio. Per una antropologia delle vocazioni”. La vocazione fondativa di ogni altra particolare, cui la donna e l’uomo sono chiamati, è quella che «ha a che fare con una caratteristica essenziale dell’essere umano in quanto tale: quella, cioè, che l’uomo stesso è vocazione», che gli è data nel suo essere uomo e donna. Prima di ogni ulteriore determinazione del proprio curriculum vitae, alla libertà è chiesto di abbracciare ciò che già siamo come compito e missione (laicissimi) della vita. La “carriera” non può essere “alias” se perde l’“idem” che ci consente di dire “io” come chiamati all’esistenza. Nella Bibbia è Dio che dà il nome a tutto e a tutti, anche all’uomo e alla donna (Gen 1, 24). I nostri nomi sono il riverbero del nome che il Creatore ha plasmato nel nostro venire al mondo come uomo-donna.
Spetta alla filosofia pensare la differenza nell’unità e l’unità nella differenza. Un lavoro formidabile tutt’ora in corso, nell’esercizio della ragione che è propria del pensiero antropologico. Un’unità-differenza che si declina originalmente in quella uomo-donna. «La differenza sessuale rappresenta il problema che la nostra epoca ha da pensare», scriveva quarant’anni fa la filosofa e psicoanalista Luce Irigaray. Alla sua voce, quasi isolata nella galassia femminista e genderista, si aggiungono le parole di papa Francesco pronunciate nel 2016 dinanzi agli studiosi di scienze del matrimonio e della famiglia: «Come possiamo conoscere a fondo l’umanità concreta di cui siamo fatti senza apprenderla attraverso questa differenza?».
Siamo chiamati a lasciarci sfidare dalla differenza non ritenendola un lasciapassare irricevibile per una dignità umana a geometria variabile, per la discriminazione, la disuguaglianza, la sperequazione delle opportunità, o addirittura la violenza. E, supposta tale, da cancellare culturalmente e socialmente. Differenza non è “di-versità”. Non sono in gioco due “versanti” opposti della soggettività, che si guardano a distanza, ma una sola tensione nella stessa direzione.
Si tratta di abbracciare la differenza come la condizione del darsi e del conoscersi dell’umano concreto in ciascuno di noi come dono e come compito, cioè come vocazione. Ritornando all’etimo della parola “differenza” nell’esistenza sessuata: portare in altro luogo antropologico (il vissuto femminile e il vissuto maschile) l’identico dell’umano, che è sempre e costitutivamente duale nella sua struttura ontologica-creaturale. L’intero della meraviglia del creato è la tensione comunionale uomo-donna. Abolendo questa irriducibile polarità cresce la povertà antropologica. Il rischio di questa nuova povertà è serio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA