«In fuga da Haiti al Canada con la morte dentro»

June 25, 2025
«Sono arrivato in Canada la sera del 1° febbraio. All’aeroporto di Montreal, l’agente dell’immigrazione mi ha chiesto quattro cose contemporaneamente: biglietto di ritorno, prenotazione alberghiera, passaporto e motivo della visita. Mi sono piaciute le sue parole autorevoli e il suo sguardo inquisitorio. Di che Paese sei? Haiti. Ma non arrivi da lì. Perché l’aeroporto della capitale è chiuso. Sa, lì c’è una grave crisi. Le autorità hanno chiuso l’aeroporto a causa degli attacchi delle gang. Ha sorriso leggermente a tutti quei dettagli». A Port au Prince Marc Sony Ricot scriveva per Le Nouvelliste, il più grande quotidiano di Haiti: articoli sui libri e sulla memoria. Aveva anche curato un’opera collettiva di autori francofoni e conduceva diversi podcast. Cinque mesi fa, ha mollato tutto. «L’agente mi ha chiesto se avevo abbastanza soldi per vivere a Montreal. Ho detto che avevo 2.344 dollari americani. Mi ha chiesto quanto guadagno. Non ho uno stipendio fisso, ho detto. Ha insistito, gli ho dato una stima. “Le garantisco che posso farcela, signore”». A Port au Prince Marc viveva in un quartiere tranquillo. Non si sentiva in pericolo. Ma un giorno il suo amico Jean Baptiste, che con lui aveva condotto diversi laboratori di lettura per giovani, è morto davanti ai suoi occhi, ucciso da un proiettile vagante a pochi passi dal Palazzo Nazionale. La settimana dopo, Marc ha fatto i bagagli. «L’agente mi ha guardato, esitante. Uno. Due. Tre. Quattro secondi. Ho distolto lo sguardo, ho sorriso, ma non troppo. Mi ha timbrato il passaporto. Con voce serena e viso rilassato, ha detto: Benvenuto in Canada». Nel suo quartiere di Port au Prince, Cité Soleil, Marc e Jean Baptiste avevano fondato un club di letteratura per trasmettere ai ragazzi qualcosa di diverso dalla paura. Ma non è bastato a salvare Jean Baptiste, perché ad Haiti uccidere è diventato un verbo facile da coniugare. Un semplice gesto. Marc non lo dimentica. «La mia prima notte a Montreal, in un seminterrato, è stata fredda, triste e orribile. La stanchezza del viaggio durato più di cinque giorni, il gelo insolito, le domande senza risposta. Questo Paese mi accoglierà? Cosa farò? E la mia famiglia, il mio Paese? Quando te ne vai in quel modo, di fretta, ti porti sulle spalle un peso che solo chi ha fatto quel viaggio può capire. È il peso dell’incertezza, il dubbio di questa vita che ti aspetta». Marc si porta dentro le morti di Port au Prince, quelle che ha testimoniato di persona e quelle che ha visto sui media sociali. Quelle che gli fanno temere che Haiti non ha un domani. Per questo oggi, da Montreal, continua a scrivere. Di Haiti. Di dignità. Di libri. Anche di morte. «Non c’è niente di peggio di una morte che vive dentro di noi. Sono emerso da quella prima notte a Montreal come da uno strano sogno. Ho pensato a mia madre, ai miei due fratelli. A questi esseri umani che danno un senso al mio cuore. E se le gang li attaccassero?». Oggi da Montreal, su siti web e giornali, Marc racconta le storie delle migliaia di giovani come lui che soffrono, che muoiono o che cercano di scappare. Ma anche il freddo pungente, le scoperte urbane e la solitudine dell’esilio. «Il Québec mi ha aperto le porte. Entro, grazie. Non so se questo nuovo capitolo sarà buio, gioioso, vibrante o disastroso. Ma al di là di tutte queste preoccupazioni, devo aggrapparmi saldamente alla riva del mio nuovo Paese. Se non lo faccio, la mia vita diventerà una tempesta». Marc, quando non scrive, cammina. Si perde nel Porto Vecchio. Cerca l’acqua. Segue le rive del fiume San Lorenzo. «A volte dimentico da dove vengo, dove sono e dove sto andando. A volte mi sembra di essere ancora in aria, a guardare fuori dal finestrino dell’areo il mare, quel mare calmo e generoso che mi calmava e accarezzava la mia anima». A volte Marc guarda il fiume, largo, immenso, e immagina una barchetta di carta che affonda. È così che vede Haiti rispetto al Nordamerica, rispetto al resto del mondo. «È così piccolo. Prego che il mondo ci aiuti a non perire. Siamo pochi, meno di 12 milioni di persone. Aiutateci a impedire che la nostra gente muoia. È dura, morire». © riproduzione riservata

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