sabato 21 novembre 2020
Avolte, Signore, e non so dirlo in altro modo, quello che più sento nello scorrere dei giorni è il bisogno della tua mano, l'assoluto, urgente bisogno di sentire la tua mano profonda, capace di accoglierci così come siamo, dentro il silenzio. A volte, Signore, più del desiderio di parole o di cose, c'è un insopprimibile desiderio di presenza; questa interminabile voglia di scorgere, qui e ora, il tuo volto; questa ansia che mi prende di vedere concretizzarsi un alfabeto di relazione, e non solo una vaga successione di esercizi mentali. A volte, quello che dalla mia radice antichissima risale fino a esplodere è il desiderio di sentirmi sfiorare, anche lievemente, dalla tua immensità, e che questa ti renda percepibile in ciò che è precipitoso, precario, incipiente, incerto, nella quotidianità in cui annaspo. A volte, ciò di cui ho più bisogno è di espormi al tuo sguardo e niente più, e di lasciarmi rimanere lì come un cagnolino raggomitolato, silenziosamente addossato alla porta del padrone, senza altra richiesta se non di sperimentare un'appartenenza. A volte è questo cagnolino che io sogno, che allude a un denudamento e a una sapienza da cui mi vedo ancora così distante. Ma tu, Signore, saprai ricevere come preghiera questa mia muta specie di fame, questo brivido intarsiato nella carne, che esprime il desiderio di Dio anche in mezzo a tutta la mia imperfezione.
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