mercoledì 21 marzo 2018
Capodimonte sta lassù, nel regno alato di Pulcinella che spensierato penzola sull'abisso, come un affresco di Giandomenico Tiepolo, il figlio più geniale di Giambattista, dove Napoli è bellissima, coi cieli azzurri schermati dalle terrazze sporche nell'ultimo respiro di Giacomo Leopardi che vi morì col panciotto macchiato di gelato al pistacchio: quello di Vito Pinto alla Carità. Fatti forza, vorrei dire a me stesso mentre mi appresto a sostenere il panorama sottostante. Le screpolature degli scalini e tutti quei lenzuoli sventolanti sulla splendida scoscesa di finestre ingabbiate come guerrieri e porticine chiuse alla maniera di salvadanai, mi lasciano senza fiato. Così come i muri crepati, i cancelli arrugginiti, i ciuffi d'erba ribelle tra le pietre. Bisogna scendere giù perché il Paradiso in terra è troppo doloroso da affrontare, la bellezza rischia di far male, quasi non sapessimo come ricambiare un dono immeritato. Giusto il tempo d'infilarmi nelle catacombe di San Gennaro, seguire la visita guidata dei ragazzi che le hanno ristrutturate, ascoltare la loro voce appassionata fino a sbucare ai piani bassi, la nostra vera casa, nel rione della Sanità, nella promiscuità dove ti scommetti tutto, fra scooter che schizzano in mezzo ai passanti, dolci come fiocchi di neve, miseria e nobiltà.
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