Se il digitale smaschera il maleducato che c'è in noi
venerdì 4 gennaio 2019
In questo periodo di vacanze c'è una foto diventata, come si usa dire, "virale" sui social (cioè, condivisa e commentata da tanti). Ritrae sette persone sedute su un enorme divano angolare. Quattro sono adulte, due sono adolescenti e una – quasi al centro della foto – è anziana. Lo sguardo di quest'ultima è desolato. Il motivo lo spiega un fumetto sulla sua testa che dice: «Grazie per essere venuti a trovarmi...». A rendere la foto particolarmente potente è il fatto che tutte le altre sei persone ritratte, sia adulte sia adolescenti stanno guardando un telefono cellulare e non degnano l'anziana di alcuna attenzione.
Le centinaia di commenti sotto la foto sono tutti dello stesso tenore. «È proprio così. Che tristezza»; «È l'orrore di questi tempi dove i cellulari hanno distrutto i rapporti umani»; «Povera nonnina»... Nessuno, nemmeno per un secondo, sospetta che la foto sia falsa. Ciò che conta, per chi guarda la guarda, è il fatto che confermi all'ennesima potenza un "orrore" col quale quasi ogni giorno ognuno di noi fa i conti. E pazienza se, dimenticando di essere su Facebook, un utente commenta con scarsa coerenza: «I social andrebbero chiusi». Per rafforzare il suo sdegno, una persona posta come commento il link a un'intervista al popolare scrittore Luca Goldoni che già dal titolo non lascia spazio a dubbi: «Sogno un mondo in cui le relazioni vere tornino al primo posto». Nessuno può dargli torto. E non solo perché è un grande scrittore, che dall'alto dei suoi 90 anni vede la vita con saggezza. Ma davvero era tutto così bello un tempo? Davvero ogni incontro "reale" era ed è così pieno di valore? E ancora: davvero i social sono solo superficialità, odio, violenza e tutto il male con il quale normalmente vengono ritratti da molti? La prima risposta, quella di istinto, è "sì" a ogni domanda. Poi però, man mano che passano i secondi, la questione diventa un po' più complessa. Per esempio: non vi fa effetto che, in questi frangenti, scompaiano come per magia dai nostri ricordi tutti quei minuti di conversazioni noiose che ognuno di noi ha vissuto e vive con parenti, amici ed estranei? Non vi fa effetto che all'improvviso ogni visita di "cortesia" fatta per dovere nella nostra vita si trasformi in un momento stupendo, da salvare e mettere tra i ricordi migliori?
Questo cambio di senso ha diverse ragioni. La più importante delle quali è quella che ci fa odiare la "bassa comunicazione" che ci circonda oggi per colpa, crediamo noi, di smartphone e affini. Negli anni che nel ricordo ci appaiono ora stupendi e perfetti, nessuno manifestava in pubblico con così tanta forza – e con così tanta maleducazione – la propria noia o il proprio disappunto. E i pochi che lo facevano venivano guardati con riprovazione. Insomma, tutto era più semplice. Più "codificato". Più educato. Meno vero per certi aspetti, ma più facile da affrontare. Se una persona – soprattutto se colta e di prestigio – parlava, nessuno si sognava di interromperla, di criticarla o di sbadigliarle in faccia. Oggi, invece, complici gli smartphone e i social, nessuno si salva più. Il "digitale" ha reso reale e diffuso un problema non tecnologico ma umano: e cioè la nostra maleducata impazienza. Perché, in fondo, anche se non lo ammettiamo, ciò che odiamo di smartphone e social è l'averci tolto la maschera, svelando e rendendo normale il maleducato che si nasconde in molti di noi. Perché purtroppo il problema siamo noi, non la tecnologia. Per questo motivo temo che, anche facendo sparire di colpo ogni cellulare dalla faccia della terra, questa epidemia non sarebbe risolta. Senza contare il fatto che, ogni volta che ci lamentiamo per la scarsa qualità dei rapporti umani dentro e fuori la Rete, dimentichiamo di chiederci: ma io, dopo essermi sfogato perché il mondo va a rotoli, cosa faccio per rendere vera e significativa la mia comunicazione col prossimo dentro e fuori il digitale? E infine: cosa faccio davvero per combattere il mio essere a volte di una noia mortale?
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