giovedì 9 settembre 2010
XXIV Domenica del Tempo Ordinario " Anno C

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta"» [...].

Si è persa una pecora, si perde una moneta, si perde un figlio. Si direbbero quasi delle sconfitte di Dio. E invece l'amore vince proprio perdendosi dietro a chi si era perduto. Il Dio di queste parabole è un Dio che và dietro anche a uno solo. Uno, uno solo di noi, e per di più sbandato, è sufficiente a mettere Dio in cammino.
Un uomo aveva due figli. Questo inizio, semplicissimo e favoloso, apre la parabola più bella. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa il centro del nostro vivere, nessuna lascia trasparire come questa il cuore di Dio. Un Dio differente, diverso non solo da quello dei Farisei, ma anche dall'immagine che noi ancora ci portiamo in cuore: un Padre che non vuole una casa abitata da figli-servi, obbedienti e scontenti, ma da figli-liberi, gioiosi e amanti. Il suo dramma sono due figli entrambi insoddisfatti, forse perché si credono servi.
Il più giovane se ne va, un giorno, in cerca di felicità. Questa crisi del ribelle l'abbiamo tutti vissuta, e spesso il gesto di rivolta non era che il preludio a una dichiarazione d'amore. Il Padre non si oppone, non è mai contro la libertà.
Ma la storia ha una svolta drammatica: il figlio si trova a pascolare i porci. Il libero ribelle è diventato servo, affamato, «può rubare le ghiande ai porci, ma non può accontentarsi, come loro, delle sole ghiande. Crudeltà questa? No, Provvidenza» (Mazzolari). L'uomo nasce con il cuore malato di cose grandi e le piccole non saziano.
Allora si ricorda del pane di casa, e si mette in cammino. Al padre non importa il motivo per cui il figlio ritorna, se per fame o per amore, se per paura o per pentimento, a lui basta che si metta in viaggio, e lo «vede quando è ancora lontano».
Padre, non sono degno, trattami da servo. E lui lo interrompe, per convertirlo proprio dal suo cuore di servo, per restituirgli un cuore di figlio, un cuore in festa. Per questo non emana verdetti, né di condanna né di assoluzione, perché il primo sguardo di Dio non si posa mai sul peccato dell'uomo, ma sempre sulla sofferenza, per guarirla.
Il fratello maggiore torna dai campi ed entra in crisi: «io ti ho sempre ubbidito, e tu non mi hai dato neanche un capretto». Ha misurato tutto sulla contabilità del dare e dell'avere, come un salariato. Il padre vuole salvare anche lui dal suo cuore di servo: «tu sei sempre con me, tutto ciò che è mio è tuo». Tutto! Avrà capito?
Padre, non sono degno, ma mi prendo lo stesso il tuo abbraccio, la veste nuova, la festa. Sono l'eterno prodigo. Sono la tua agonia e la tua gioia. Sono il tuo figlio. Grazie di essere Padre a questo modo, un modo davvero divino.
(Letture: Esodo 32,7-11.13-14; Salmo 50; 1 Timoteo 1,12-17; Luca 15,1-32)
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