giovedì 9 gennaio 2020
Ogni volta che su Avvenire esce una puntata di questo diario, puntualmente la posto su Facebook. Poi si sa cosa avviene nella dinamica dei social network, ci sono i vari modi per esprimere il proprio apprezzamento, i commenti, le condivisioni, eccetera. Tra chi non manca mai di condividere le pagine di Slalom sul proprio profilo ci sono le mie figlie, Giulia e Camilla. Che però non si limitano a rilanciare il post: ogni volta scrivono qualcosa per accompagnarlo. E no, non due parole di circostanza: sono testi lunghi, pensati, sofferti, che rispecchiano il loro essere, il loro sentire, i loro caratteri tanto diversi e
tanto complementari.
In un primo momento avevo iniziato a raccogliere questi loro pensieri, poi ho dovuto smettere perché mano a mano che l'uso del mouse diventa più faticoso l'impresa che mi ero prefisso diventava impossibile. Ma, ovviamente, ho continuato a leggere (e a rileggere, e a rileggere ancora e ancora, confesso che alcuni passaggi li so ormai a memoria) quello che scrivono condividendo il mio diario. Avevo anche pensato di riportare qui qualcosa, ma qualunque cosa, qualunque passaggio dei loro pensieri avessi scelto sicuramente non avrebbe reso l'idea, sarebbe stato riduttivo, avrebbe significato quasi una mutilazione. Peraltro, chi proprio è curioso credo possa reperire tutto da Facebook senza troppe difficoltà.
Credo che più o meno tutti siano consapevoli di quanto delicato, perfino struggente, sia il
rapporto di un padre con le sue figlie. Tanto più quando la vita, praticamente da un giorno all'altro, capovolge le cose senza darti il tempo di adattarti alle nuove condizioni. Io poi, tra l'altro, non sono stato mai un tipo di molte parole, e da quando sono rimasto senza voce (praticamente è dalla fine della scorsa primavera) mi è capitato spesso di pensare a quante cose avrei ancora da dire loro e che invece non potrò più.
Poi però ripenso a tutto quello che scrivono ogni volta che condividono un mio post, e a quello che io stesso ho scritto in quel post. E mi accorgo di una cosa bellissima. Che in qualche modo – inconscio, certamente non volontario – il nostro è diventato una sorta di dialogo a distanza, per dirci le cose che non ci siamo mai detti, per superare il pudore e la timidezza. Ho scoperto molte cose di Giulia e Camilla, e credo che anche loro abbiano capito qualcosa in più del loro padre. No, mi correggo, non è una cosa bellissima. È impagabile.
(28-Avvenire.it/rubriche/slalom)
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