venerdì 30 giugno 2017
L'istituto Luce, fondato ai tempi del fascio, ha il merito storico indiscutibile di aver conservato una quantità enorme di film, un archivio di «immagini in movimento» che erano accompagnate a suo tempo da commenti spesso abominevoli, ma che hanno documentato la realtà italiana e ne permettono ancora oggi una lettura assai diversa da quella preventivata e ufficiale. Di recente il Luce ha realizzato alcuni film significativi, di qualità e interesse diverso a seconda dei suoi curatori: per esempio una interminabile storia di famiglia romano-americana di Marina Piperno, Diaspora, i due film di conversazione con Giulio Andreotti stabiliti con acume (ma soggiacendo spesso alla forza del personaggio) da Tatti Sanguineti, e un film per molti versi appassionante di Gianfranco Pannone e Ambrogio Sparagna (curatore quest'ultimo dell'efficacissimo accompagnamento sonoro) dal titolo Lascia stare i santi. Con abile montaggio di materiali d'archivio spesso meravigliosi – proprio nel senso che suscitano la meraviglia e l'ammirazione, nostalgica in chi quell'Italia ha conosciuto e sbalordita in chi è nato dopo – Pannone ha costruito un ideale «viaggio in Italia» in bianco e nero e a colori delle feste popolari, tutte, di fatto, d'impronta religiosa. Motivo conduttore ne è il culto dei santi che Enzo Bianchi, nelle conclusioni, afferma essere stati (o essere ancora) per il nostro popolo, e in particolare per quello contadino e proletario al Nord come al Sud, le figure di riferimento, di mediazione tra la propria condizione di precarietà e di insicurezza e il Sacro, il Divino. I Santi come più prossimi alle esperienze comuni, i Santi come esseri che furono umani e più che umani, bensì vicini per consacrazione ufficiale e per culto popolare, alla Divinità. Sono immagini bellissime e a volte strazianti per la loro forza e la loro bellezza quelle di questo film, immagini che tutti dovrebbero vedere e che andrebbero mostrate nelle nostre scuole. Le accompagnano le voci di Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni che leggono brani di grandi scrittori che a questi fenomeni hanno dedicato la loro rispettosa e curiosa attenzione, da Silone a Dolci, da Soldati a Pasolini, da Scotellaro a Alan Lomax, da Gramsci a Vittorio De Seta. Ci si diverte, ci si commuove, si rivive un tempo vitale e si torna ad amare un popolo che è stato, nel suo analfabetismo, così spesso il geniale costruttore di una propria cultura, del tutto autonoma da quella ufficiale, statale.
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