sabato 20 febbraio 2021
Il pregiudizio è una gran brutta bestia. Perché, come dice il nome, non è fondato sulla conoscenza ma, appunto, sul pre-giudizio, ovvero su qualcosa che prescinde dal sapere e unicamente si basa su supposizioni, credenze, superstizioni, o distorte visioni religiose, ideologiche o pseudo culturali. Si potrebbero fare esempi a bizzeffe: i migranti che "ci tolgono il lavoro" e "portano malattie", gli zingari "che rubano", i musulmani "terroristi"; ma anche gli omosessuali, o chi viene additato come "iettatore". Sono i pregiudizi, così, a generare discriminazioni, esclusioni, emarginazione sociale. Dalle quali non ci si può difendere, e che, come una vite senza fine, generano altre esclusioni e discriminazioni. Si finisce per sospettare di tutto e di tutti, per averne paura, e chiudersi nel proprio microcosmo "perfetto" fino a renderlo impermeabile agli altri. Fino a cercare anzi di espellerli. La storia ne è sempre stata piena, di pregiudizi, e purtroppo anche quella recente del Novecento ci ha mostrato quali mostri atroci possano finire con il generare.
A proposito di pregiudizi, domenica scorsa, Papa Francesco ha ricordato il passo del Vangelo in cui si narra del lebbroso che, eludendo il divieto che relegava ai margini della società chi era affetto da quella terribile malattia, si avvicina a Gesù. Il quale, trasgredendo a sua volta la stessa legge, «lo tocca». Oggi, ha detto, ci sono tante persone che soffrono di «altre malattie e condizioni a cui è purtroppo associato un pregiudizio sociale. In certi casi vi è pure una discriminazione religiosa… Per rispettare le regole della buona reputazione e delle consuetudini sociali, noi spesso mettiamo a tacere il dolore o indossiamo delle maschere che lo camuffano… E il pregiudizio sociale di allontanare la gente con la parola: "Questo è un impuro, questo è un peccatore, questo è un truffatore, questo…". Sì, a volte è vero, ma non pre-giudicare. A ciascuno di noi può capitare di sperimentare ferite, fallimenti, sofferenze, egoismi che ci chiudono a Dio e agli altri, perché il peccato ci chiude in noi stessi, per vergogna, per umiliazioni, ma Dio vuole aprire il cuore… Dio è Colui che si "contamina" con la nostra umanità ferita e non ha paura di venire a contatto con le nostre piaghe».
Noi, al contrario, «per rispettare le regole della buona reputazione e delle consuetudini sociali, spesso mettiamo a tacere il dolore o indossiamo delle maschere che lo camuffano. Per far quadrare i calcoli dei nostri egoismi o le leggi interiori delle nostre paure, non ci coinvolgiamo troppo nelle sofferenze degli altri». Quando invece dovremmo chiedere al Signore di farci capaci di vivere nella nostra vita le due trasgressioni che la storia del lebbroso ci insegna. Quella del povero malato che, contravvenendo al divieto che lo escludeva dalla convivenza civile, va incontro a Gesù, e quella di Cristo che lo accoglie. Per avere «il coraggio di uscire dal nostro isolamento e, invece di restare lì a commiserarci o a piangere i nostri fallimenti, le lamentele, e invece di questo andiamo da Gesù così come siamo: "Signore io sono così"»; e per diventare capaci di «un amore che fa andare oltre le convenzioni, che fa superare i pregiudizi e la paura di mescolarci con la vita dell'altro». È così che si cambia il mondo, e si cambia la storia, secondo quello che è lo stile di Dio. Fatto di «vicinanza, compassione e tenerezza».
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