Ologramma: noi viventi uccisi da un sosia digitale
domenica 22 gennaio 2017

Mi scuso subito con i miei lettori se compaio loro sotto la forma di un "gramma" che non è "olo" o, per dirla in italiano, di uno "scritto" che non è "totale", che non mi registra in tre dimensioni, non mi permette di essere ammirato come sono a quest'ora, in pigiama, con una grossa macchia di rigurgito sulla spalla sinistra, gallone della mia paternità numerosa. Mi sono perso la nuova moda, quella dell'ologramma, che del resto è più di una moda – qualcosa come il Giudizio Universale della tecnologia. I giornalisti a questo proposito parlano volentieri di "risurrezione". Pur essendo scomparsa da 4 anni, Whitney Houston ha di nuovo calcato l'anno scorso le scene per un tour mondiale. Michael Jackson l'aveva preceduta di due anni in questo prodigio: nel 2014, sebbene il suo corpo fosse rigido già da un lustro, si è prodotto in
un'incredibile performance al Bilboard Music Awards, cantando Slave to the rythm – titolo abbastanza suggestivo in quella circostanza - con una coreografia quasi più sbalorditiva di quelle della sua carriera premortale. In questo momento, al Palazzo dei Congressi di Parigi, lo spettacolo Hit Parade fa ricomparire Dalida, Mike Brant e Claude François; due suicidi – che evidentemente ritornano senza aver saputo nulla della loro tragedia – e un fulminato, che risorge grazie all'elettricità di cui è morto. Si tratta veramente di risurrezione? O non è piuttosto il compimento di una morte anticipata? Chi, di fatto, trae beneficio da questo genere di produzione? Non mia nonna, né il mio salumiere. Solo i divi, persone già ridotte a personaggi, a immagine pubblica e commerciale. In fondo, i loro ologrammi esistevano già prima di essere realizzati tecnicamente. Li avevano vampirizzati. Ne avevano fatto delle marionette dello show-business. Erano ancora vivi ed erano stati posti nella bara di vetro di Biancaneve o, per usare un'espressione più evangelica, in un sepolcro imbiancato, reso inoffensivo, avvincente. Erano diventati figli del riflesso di Narciso e della ripetizione di Eco. Il precedente elenco di pionieri è abbastanza significativo. È un elenco di morti violente: overdose di medicinali per Michael Jackson, annegamento nella vasca sotto l'effetto della cocaina per Whitney Houston, barbiturici per Dalida, salto dalla finestra per Mike Brant, ancora vasca da bagno per Claude François, sebbene accidentale. Ora quelle morti non sono un ostacolo, al contrario: è la vita che era una pesantezza e la morte una liberazione dalla loro immagine totalmente manipolabile dal sistema mediatico-commerciale. È del resto ciò che confessava ingenuamente il miliardario greco Alki David, padrone della ditta Hologram Usa e promotore del giro post-mortem della cantante di I will always love you: «È esattamente ciò che speravo quando ho creato questa impresa. Oggi sono convinto
che riusciremo a creare la celebrazione definitiva dell'arte di Whitney». Günther Anders scriveva nel 1956: «In un certo senso, la stella del cinema è già "immortale in vita" (Garbo, l'immortale) e sfugge al destino che attende tutti gli esseri di carne: come nella maggior parte delle sue pictures, la diva mostra la versione eternizzata della sua giovinezza propriamente divina ed esente da ogni ruga (questa è la sola versione interessante commercialmente) ed è sempre più giovane di se stessa. Quanto al destino della sua vera carne, è un processo occulto, senza il minimo interesse, ed è meglio ancora averne vergogna». Il vivente immortale è dunque anche un morto vivente. La star di cui si venera l'immagine finisce per schiacciare la persona concreta, destinata ai processi biologici e alle angosce esistenziali. Quest'ultima è condannata a ricorrere alla chirurgia estetica per cercar di rendere il suo viso somigliante ai suoi ritratti, a privarsi della vita privata affinché la sua camera da letto sia ancora la scena di un melodramma, infine a uccidersi, per alleggerire il suo fantasma di un peso troppo carnale. Se il presente scritto non è un ologramma è per mancanza di mezzi? O è piuttosto il contrario? Se i processori di Intel fossero a mia disposizione non li userei. Del resto non sono ancora abbastanza morto per farlo. L'ologramma è segno di una impotenza. Si sforza di rimediare alla nostra incapacità di scrivere una poesia, o anche di essere semplicemente qui, con quelli che ci stanno attorno. Troppo facile imbrogliare il mondo producendo un sosia spettacolare: tale doppione mette un sigillo sulla nostra incapacità di stupirci dell'originale. Dimostra che non abbiamo saputo contemplarlo né avvicinarlo con la parola (quella parola capace di suscitare immagini interiori che vanno molto al di là delle dimensioni visive, perché può, di ogni cosa, raccogliere l'essenza misteriosa). Se fossi apparso in 3D sul vostro desktop, questo sarebbe stato sufficiente per sorprendervi, e non avrei dovuto pensare, né prendermi cura del mio settimo figlio.

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