giovedì 30 agosto 2012
«Indizi nascosti della trascendenza»: secondo il teologo francese Claude Geffré il nostro tempo si riconosce perché rivela in filigrana questi indizi. «Una sorta di "prova" di Dio a contrario, non a partire dai segni evidenti della sua presenza ma, piuttosto, dalle vestigia della sua assenza». Sono d'accordo con questa lettura capace di superare il catastrofismo apocalittico che a volte può tentare chi, come me, da sempre sostiene le ragioni del sacro e accusa il Novecento di averne sancito l'eliminazione. I danni della desacralizzazione del mondo sono evidenti. In generale una prospettiva di vita svuotata della presenza del sacro si ritrova priva di speranza sin dall'inizio. Ma credo, con Geffré, se non fraintendo il suo pensiero, che Dio sia ineliminabile anche «nel tempo», che insomma la sua presenza permanga anche quando una civiltà, una cultura se ne vogliono sbarazzare: se stiamo attenti non registriamo tanto l'«assenza», quanto la «mancanza» di Dio. Mancanza significa ricordo e desiderio, quand'anche inconfessati. E inoltre: meglio un senso del sacro e del divino messo alle strette e alle corde, che una religiosità quieta, trionfante e priva di domande e dilemmi. Certo, la visione desacralizzata del mondo, la morte di Dio impoverisce l'uomo. Ma lo mette anche nella condizione di ricordare, reagire, resistere. Tre sinonimi del verbo «esistere».
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