giovedì 7 maggio 2015
Giovanni Segantini aveva sette anni quando perse la madre, ma ritrovò una sorta di abbraccio materno nelle Alpi e nel loro maestoso dilatarsi verso il cielo. Nel 1894, quando dal cantone Grigioni si trasferì all''Engadina, andando ad abitare a Maloja, l'artista realizzò un dipinto affascinante: un olio su tela dal titolo «L’angelo della vita». Nell’opera si rintraccia l’amore per il simbolismo a tratti mistico, anzi religioso, che appassionò l’artista proprio per l’incontro con la terra Engadina. Una betulla allegorica taglia irrimediabilmente a metà la tela e ci introduce nella profondità del quadro obbligandoci ad andare oltre, oltre la sua nodosità, oltre la donna col bambino, per giungere al paesaggio sullo sfondo. Lì vediamo un laghetto alpino, promessa di fecondità e di vita, attorno al quale, però, tutto è brullo; neppure l’albero, da un lato privo di foglie, sembra beneficiare di quelle acque. Segantini racconta la parabola di un'umanità che cerca la salvezza contorcendosi nel cielo chiaro della vita ma, proprio come quest'albero, non si accorge di averla molto vicina a sé, quasi a portata di mano. Le acque argentee del lago si rispecchiano nell’abito di questa madre, il cui incarnato, pieno di luce, rimanda all’innocenza perduta e a una dimensione, come afferma il titolo, angelica. È per una siffatta madre che l’albero riacquista la vita, infatti proprio accanto a lei i rami rinverdiscono. La tenerezza con cui il bimbo sta aggrappato al corpo della madre rievoca la fanciullezza di Segantini, cui questo abbraccio materno fu rubato prestissimo. Il dipinto ha un secondo titolo che conferisce all'opera un insospettato spessore religioso: la dea cristiana. Sulle prime pare un titolo irriverente, quasi una presa di distanza dell’autore dalla Vergine Maria, ma dopo una più attenta riflessione s’intravvede la nostalgia dell’artista per una tale Madre. Fin da allora, del resto, la figura della donna-madre, andava mutando rapidamente, entrando in una crisi drammaticamente registrata anche oggi. Non a caso il secolo in cui visse Segantini (tra 1850 e il 1950) vide prender corpo, in America e in Europa, la festa della Madre. Altre opere dell’artista sul tema offriranno uno spaccato profetico della crisi femminile che andava diffondendosi. Nella tela «Le cattive Madri», ad esempio, l’albero, benché ancora protagonista della scena, non è centrale ma collocato sul lato destro della tela quasi a sbarrare ogni possibile passaggio. Il paesaggio alpino è lontano dalla primavera del quadro precedente ed è anonimo e nevoso, simbolo di una morte che tutto abbraccia. Sullo sfondo quasi confuse nel paesaggio vi sono madri che danzano nella neve con i loro piccoli, mentre una, con i capelli impigliati fra i rami, rifiuta il suo nascituro ancora legato al cordone ombelicale ma, gettato nel ghiaccio.  In primo piano un’altra cattiva madre è totalmente abbandonata all'albero e segue l'inclinazione dei suoi rami. È dunque la donna che segue le sue inclinazioni e rimane così impigliata nelle logiche della morte. I capelli e l’abito di questa madre sono un tutt'uno con l'albero. Tiene, è vero, avvinto a sé un bimbo, ma non lo abbraccia, anzi lo costringe a procurarsi da se medesimo il latte che lei stessa dovrebbe dispensargli con amore. Fa riflettere come un artista qual è Segantini, in fondo non dichiaratamente religioso, sia giunto attraverso la sua esperienza personale a un’indagine così acuta e vera sulla maternità. Egli aiuta anche noi comprendere che solo attraverso la certezza di essere stati generati alla vita da un abbraccio simile a quello di Maria: materno, generoso e gratuito, è possibile ritrovare la strada dell’equilibrio, della giovinezza del cuore e della speranza.
 
Immagini: Giovanni Segantini. L'angelo della vita, 1894, olio su tela, cm. 276 x 212 Galleria d'Arte Moderna, Milano.Giovanni Segantini Le cattive madri" 1894, olio su tela, 105 x 200 cm, Vienna, Kunsthistoriches Museum)
 
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