giovedì 5 febbraio 2015
Nessun imbarazzo per il seno nudo della giovane Agata, martirizzata a Catania nel 251 ed esibito da migliaia di tele a lei dedicate; neppure imbarazzo di fronte ai suoi seni recisi, portati su un piatto come un trofeo. Agata, a motivo del martirio che la umiliò nel simbolo stesso dell’avvenenza femminile, è patrona di madri e partorienti; eppure ella fu vergine consacrata a Dio fin dall'età di 15 anni.  È spesso ritratta con l'abito rosso, non solo per designarla quale martire di Cristo, ma anche perché il vescovo le impose il flammeum, velo color fiamma che portavano le consacrate. Non tutti sanno però che Agata mori con i suoi seni intatti. Chi permise una tale umiliazione, non la lasciò in balia dei suoi carnefici: nella prigione della ventunenne entrò una luce potente accompagnata da un angelo e da san Pietro. Tra le tele che narrano il fatto ve n'è una sorprendente: San Pietro regge un vasetto e spalma il miracoloso unguento sul seno di Sant'Agata, restituendoglielo integro. Così il martirio della Santa diventa segno di una tradizione che non può morire, per questo Agata (come Agnese e Lucia) entra a pieno titolo nel Canone romano. Tra le perle della Chiesa queste giovani sono le più preziose. Ma a che pro un tale miracolo? Non morirà forse Agata, la buona, di lì a poco? Non poteva Dio restituirle salva tutta la vita? La tradizione biblica legata all’interpretazione rabbinica del Cantico dei Cantici, che ben conoscevano gli antichi padri, vede nei seni della Sposa le tavole della torah, presso le quali tutti trovano cibo e ristoro. Si muore veramente, quindi, non per le ferite della carne, ma per l’adesione a banchetti iniqui e a dottrine anticristiane. Agata non volle sacrificare agli idoli, né partecipare alle orge dei buontemponi, perciò il suo seno, prima ancora di essere segno della bellezza femminile che Dio ha voluto preservare dalla furia dei potenti, è simbolo di una dottrina che rimane intatta, diventando per i fedeli fonte di vita e di nutrimento. Un’artista moderna, Catalina Karolczak ha dipinto in Agata il suo autoritratto e, allontanandosi dalla tradizione, ha reso evidentissima la ferita facendo addirittura vedere le ossa della cassa toracica. Forse la dissacrazione operata dalla Karolczak non è intenzionale, tuttavia la sua tela imbarazza molto più di tante immagini della santa, a volte crude, realizzate nel medioevo. Quello che sconcerta non è solo il realismo della mastectomia, ma il volto un poco sensuale e lo sguardo vuoto della donna qui rappresentata. In tal modo la crudezza dell'immagine, per quanto a effetto, non restituisce la verità del simbolo che invece Giovanni Lanfranco lascia trapelare. Pietro che medica il seno di Agata è immagine di un magistero che trova, a volte proprio nei suoi figli più semplici (benché fosse dotta e nobile Agata, era pur sempre donna), l’esempio più fulgido e più certo di una dottrina che restituisce vita e dignità.
 Immagini: Giovanni Lanfranco. Sant'Agata visitata in carcere da San Pietro e l'angelo 1613-1614 circa. Olio su tela, cm 100 x 132.6. Galleria Nazionale Parma Caitlin Karolczak, Sant'Agata, olio su tela 101,6 cm x 71,12 Collezione Privata
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