sabato 13 gennaio 2018
Lo so che ormai i test Invalsi per la valutazione delle competenze raggiunte o mancate dai nostri studenti sono passati agli atti e chi, come me, nutre ancora qualche perplessità al riguardo, viene accusato di demagogia: si fa presto a ricevere gli applausi di fronte a un pubblico di docenti che rifiuta i test in stile quiz della patente, specie se rivolti a saggiare le conoscenze umanistiche. Resto convinto che il tema della «qualità scolastica» non possa essere rimosso: ma si tratta di una questione troppo complessa per venire risolta così. Dovremmo riuscire a trovare uno strumento più sofisticato di quello che in fondo ci stanno consegnando i burocrati di Maastricht. Proprio noi, che abbiamo inventato lo spirito critico e il Rinascimento, abbiamo il dovere di escogitare un modello diverso. Per verificare le conoscenze acquisite dobbiamo tenere presenti i livelli di partenza, sia degli studenti, sia dei docenti; considerare gli ambienti in cui è avvenuta l'azione didattica; sapere che esistono tempi e forme diverse dell'apprendimento. E poi bisogna sciogliere un altro nodo ancora più stretto: oggi il concetto stesso di esperienza non corrisponde a quello di dieci anni fa. Stiamo vivendo la rivoluzione digitale. Che ha cambiato il nostro modo di leggere, pensare e scrivere.
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