Foto Industria: flipper e non solo, il gioco è una cosa seria
giovedì 9 novembre 2023

C’erano una volta i flipper. Soppiantati, nei bar, da videogiochi e immancabili slot machine (che spesso, purtroppo, trasformano il divertimento in dipendenza). C’era un mondo in quel passatempo dalle luci sorprendenti e dalle decorazioni variopinte. Un gioco a volte solitario, altre di allegre sfide fra amici. Nel 1977, quando erano ancora un oggetto immancabile dei bar di provincia, Olivo Barbieri (da Carpi, classe 1954, uno dei seguaci di Luigi Ghirri e del celebre Viaggio in Italia del 1984) scopre un deposito abbandonato di flipper vicino alla propria abitazione e comincia a fotografarne ogni angolo e ogni prospettiva. Frammenti di immagini e vetri colorati, colti con gustosa ironia, agiscono ai nostri occhi come «un deposito della cultura e dell’immaginario di un’intera epoca, di cui rivelano i miti e i desideri, dal cinema hollywoodiano alla conquista del cielo e dello spazio, dalla frontiera del West alla musica rock e alle grandi imprese sportive. Flipper come teche che conservano i reperti della futura archeologia. Come fotografie riprese attraverso un cannocchiale che permette di guardare dentro il passato e coglierne gli umori più profondi».

Flippers, 1977-78

Flippers, 1977-78 - © Olivo Barbieri

Flippers di Olivo Barbieri al Museo Civico Archeologico è una delle dodici mostre che si possono visitare durante la sesta edizione di Foto/Industria, l’unica biennale al mondo di fotografia dell’industria e del lavoro, promossa dalla Fondazione Mast a Bologna fino al 26 novembre sotto la direzione artistica di Francesco Zanot, e dedicata quest’anno al Game. Dai giochi per bambini ai luna park, dai casinò ai giochi di ruolo, fino ai videogame, il settore del gioco ha assunto proporzioni senza precedenti, incorporando tematiche di straordinaria rilevanza e attualità. «L’indagine su un’attività universalmente diffusa come il gioco – spiega Zanot – che non conosce limiti di genere, età, luogo, ha rivelato punti di vista complessi e articolati, finalizzati a diversi obiettivi: dall’intrattenimento all’apprendimento, dal riposo alla gratificazione».

Le mostre di Foto/Industria 2023, undici personali e una collettiva, rappresentano una timeline di visioni sul tema del gioco a partire dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri e offrono l’occasione di osservare e approfondire la ricerca di una selezione di artisti internazionali (tra cui giovani emergenti e protagonisti della scena mondiale): oltre a Barbieri, Ericka Beckman (Stati Uniti, 1951) e Raed Yassin (Libano, 1979) esplorano alcune strutture tipiche del gioco cogliendone gli aspetti culturali, la dimensione simbolica e le relazioni con altri modelli sociali; Heinrich Zille (Germania, 1858-1929), Linda Fregni Nagler (Italia, 1976) e Daniel Faust (Stati Uniti, 1956) sono orientati all’osservazione dello spazio del gioco, che nello specifico si estende dalla scala del luna park di Berlino alla fine dell’Ottocento ai playground che punteggiano le città contemporanee, fino a un’analisi quasi-tipologica di Las Vegas, dove il gioco ha determinato l’architettura e l’urbanistica di un’intera città; il rapporto tra gioco, identità e relazioni sociali è al centro delle ricerche di Hicham Benohoud (Marocco, 1968), Danielle Udogaranya (Regno Unito, 1991) ed Erik Kessels (Paesi Bassi, 1966), i cui lavori spaziano dal valore pedagogico del gioco al suo ruolo nella formazione dell’immagine di sé, dalla maschera alla costituzione di un’esperienza sociale; nelle opere di Andreas Gursky (Germania, 1955), Cécile B. Evans (Stati Uniti/Belgio, 1983) e nella collettiva Automated Photography (organizzata in collaborazione con l’Ecal/University of Art and Design Lausanne) si investiga il tema dell’invenzione della realtà, alla base dell’esperienza del gioco sia come puro esercizio della fantasia sia nel senso della costruzione di veri e propri universi virtuali alternativi, all’interno dei quali si svolgono le avventure dei videogame.

Di foto in foto, si scopre che il gioco è «un’attività complessa e impegnativa», evidenzia Zanot. Una cosa seria, potremmo dire, citando il più grande teorico della materia, Johan Huizinga che in Homo ludens annota l’esclamazione di un bambino di quattro anni intento a giocare “al trenino” con il padre: «Babbo, non devi baciare la locomotiva, se no i vagoni non credono che sia una cosa seria». Continuando qualche riga più sotto: «L’antitesi gioco-serietà resta sempre un’antitesi instabile. L’inferiorità del gioco ha i suoi limiti nella superiorità della serietà. Il gioco si converte in serietà, la serietà in gioco».

Carlo e Luciana, In almost every picture, 2021

Carlo e Luciana, In almost every picture, 2021 - © Erik Kessels

Giocando giocando, ci si può mettere "letteralmente" in gioco. Come Carlo e Luciana (da Vignola) e le loro curiose foto di coppia, in viaggio. Lei casalinga, lui impiegato in un negozio di articoli per il fai da te, senza figli, avevano l’abitudine di fotografarsi a vicenda, nello stesso posto, con lo stesso sfondo, la stessa posizione. Lo hanno fatto da giovani, in scatti in bianco e nero, e quarant’anni dopo, a colori, girando tutto il mondo, immortalandosi con la Torre Eiffel o in Piazza Tienanmen. Quasi mai foto insieme, ma l’una che fotografa l’altro. Un rito. Un gioco. Che il fotografo senza macchina fotografica, il geniale olandese Erik Kessels, ha reso arte, valorizzando le foto di quest’album di coppia (recuperato dal fotografo Sergio Smerieri, a cui si rivolgevano per i rullini e lo sviluppo delle pellicole) con un processo di selezione e ricontestualizzazione. Il “gioco della coppia” (se richiamiamo il game show su Mediaset fra il 1985 e il 1994) diventa il gioco di Kessels. E ispira il gioco dei visitatori che viaggiano, meravigliati, insieme alle gigantografie di Carlo e Luciana. E allora per gioco, giochiamo anche noi qui, come davanti a un flipper, un’altra partita, e concediamoci un’eccezione alla regola (che «insidia la norma», canterebbe Carmen Consoli) in omaggio a Carlo e Luciana e al loro amore, in viaggio, e a scatti. Come un gioco, senza tempo.

Due foto e 904 parole.

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