giovedì 4 gennaio 2018
Chi sono gli ultimi degli ultimi? È questa la domanda che sempre mi faccio. Paola, amica napoletana, me la legge negli occhi. E allora mi guida fra le baracche dei nomadi sotto la circonvallazione di Scampia. Oltre Gomorra. Dove neppure i camorristi entrano. È vero: andiamo nelle casette chiamate della «Piccola Svizzera», caseggiati tutto sommato accoglienti, superando l'agglomerato informe di uomini e donne accampati sotto i ponti adiacenti, su terreno sconnesso e senza veri servizi igienici. Ma anche qui la situazione pare estrema: a due passi dall'immondezzaio. Quando arriviamo ci sono soltanto donne e bambini: gli uomini stanno fuori. Paola, qualche tempo fa, ci veniva a fare il doposcuola, dunque la riconoscono tutti. Sediamo ai tavoli nel cortiletto interno e subito siamo accerchiati dai più piccoli che ci osservano curiosi. Scambiamo qualche battuta sotto i piloni di cemento mentre le auto sopra di noi schizzano via come razzi. I temi sono un campionario della recriminazione: malanni, amarezze, lamenti, dolori. I volti raccontano storie di vite spezzate, energie disperse, promesse non mantenute, impegni disattesi. Eppure sento che per il solo fatto di essere lì, presenti, uno di fronte all'altro, ci arricchiamo: noi e loro. Brividi sulla pelle. Il bambino che mi chiede: tu ce l'hai una casa?.
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