«Beat»: paradossale, drammatico equivoco
venerdì 10 settembre 2021
Poesia o letteratura come vita? È un'ovvia identità o un'enfatica provocazione? Secondo i casi, direi, e di volta in volta, sia l'una cosa che l'altra. Avviene per l'arte di scrivere come per ogni arte, anche per Michelangelo o Caravaggio o Van Gogh, come per Beethoven, Verdi e Stravinskij. La vocazione e la creatività artistica tendono alla totalità e si avvicinano molto a una forma di religione che coinvolge, trascina e accende l'intero orientamento della vita. Proprio per questo, d'altra parte, può provocare deformazioni non meno che perfezioni, sia squilibrio che equilibrio. Nell'idea occidentale e moderna di "genio", che è uno dei miti centrali del Romanticismo, la vocazione poetica e artistica prende anche la forma di un "demonismo", come se l'intera personalità fosse dominata e trascinata al di là della morale o del senso comune o di qualunque misura di saggezza e prudenza, fino all'autodistruzione. Infine è sempre da chiedersi se il poeta e l'artista siano tali per la loro capacità di produrre opere perfette, sorprendenti e rivelatrici, o per il loro modo di essere e di vivere, per il loro carattere anomalo e la loro stravaganza. È questo un tema molto attuale dato che oggi il comportamento "da artista", la creatività più o meno reale, la smania e moda di infrangere le regole hanno una diffusione senza precedenti, mentre la qualità e l'eccellenza delle opere d'arte è sempre più rara. Un'accelerazione di questo processo che identifica creazione di opere e vita da artista, poesia e vita, poesia e religiosità, si è avuta tra fine anni cinquanta e anni sessanta con la cosiddetta "beat generation" americana, quella di Jack Kerouac e Allen Ginsberg. Di quest'ultimo è appena uscito dal Saggiatore il volume Senza filtri (pagine 664, euro 42,00), in originale Spontaneous Mind, che raccoglie interviste rilasciate dal 1958 al 1996, nelle quali si fondono esistenza, mentalità poetica, denuncia politica e scoperta di religioni orientali. La cultura di Ginsberg è fatta di richiami a Whitman e all'induismo, a Henry Miller e al buddismo Zen, a William Blake e Rimbaud, alla meditazione e all'uso di droghe, in una lode continua dell'immediatezza espressiva e della spontaneità. La cosa meno convincente e accettabile è proprio qui: l'arte non è spontaneità, la genialità creativa è anche autocontrollo, l'induismo e il buddismo vietano le droghe. Purtroppo seguendo la "beat generation" troppi giovani hanno creduto di "liberare la propria genialità" rifiutando ogni disciplina mentale e spirituale e intossicandosi chimicamente per essere naturali... Un paradossale, drammatico equivoco.
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