venerdì 25 marzo 2011
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Sul vertice europeo, in corso a Bruxelles, è piombata la notizia della crisi di governo in Portogallo: il presidente del Consiglio, José Socrates, ha rassegnato le dimissioni dopo avere tentato senza successo di fare approvare dal Parlamento il piano di austerità concordato per avere accesso agli aiuti europei. È difficile dire se e in che misura la notizia inciderà sui testi del "patto per l’euro" in fase di messa a punto.Nella versione concordata l’11 marzo (consultabile sul sito ufficiale dell’Ue) viene depennato il cosiddetto 'compromesso Carli', la clausola introdotta, nell’ultima fase del negoziato di Maastricht, in base alla quale il rapporto tra stock di debito pubblico e Pil degli Stati dell’unione monetaria avrebbe dovuto «tendere al 60%». Il testo all’approvazione del vertice prevede un calendario preciso pur se «in circostanze eccezionali» si potrà fare valere la tipologia del debito (quanto sull’estero, quanto sull’interno, quanto finanziato da risparmio delle famiglie). È un’apertura molto stretta: occorre «chiedere» la presa in considerazione di «circostanze eccezionali». Per l’Italia sarà meno facile di quanto si pensasse perché la propensione al risparmio delle famiglie è diminuita di due punti (dal 14% al 12%) dal 2009 al 2010.Le regole Ue determineranno, per i 17 Paesi dell’eurozona, "manovre" impegnative per i prossimi tre esercizi finanziari. Per l’Italia sarebbero nell’ordine di 15-20 miliardi di euro l’anno (tenendo anche conto dell’esigenza di portare al di sotto del 3% il rapporto deficit-Pil). Queste stime sono state effettuate sulla base di tre modelli econometrici (Bce, Fmi e Ocse), nonché utilizzando il consensus (i 20 maggiori istituti internazionali privati). La differenza tra consistenza minima e massima della manovra dipende dai tassi di crescita delle economie mondiali e italiana che si possono ipotizzare per il periodo 2011-2014, nonché dalla volontà Ue di fare scattare la clausola delle «circostanze eccezionali».Per l’Italia, le previsioni di crescita sono stabilite intorno all’1,5% del Pil.A mio giudizio, si potrebbe raggiungere il 2% grazie a un accelerato programma di liberalizzazioni (soprattutto a livello locale), privatizzazioni pure in settori considerati strategici (energia, radio­televisione) e l’aumento del peso di partner stranieri nell’azionariato di holding o imprese. So bene che su questi punti il dibattito è apertissimo e le controversie sono motivate e forti. Tutti possono invece concordare sul fatto che un contributo può venire dall’applicazione rigorosa della nuova legge di contabilità dello Stato e dal pronto azzeramento (come fece il Governo Amato nell’estate 1992) delle 'contabilità speciali' dove si annidano "residui passivi". Come disse all’epoca il dottor Sottile, possono diventare all’improvviso «inondazioni» (di spesa, ndr) come quelle del Vajont.Su questo scenario incombe – per noi e per gli altri – la prospettiva di un aumento dei tassi d’interesse quando il 7 aprile si riunirà il Consiglio Bce. Il rischio, lo dice anche Bradford De Long (ex sottosegretario al Tesoro Usa e ora professore a Berkeley in California) in un saggio su The Economist’s Voice, è che ciò potrebbe strozzare la ripresa in molti Paesi europei proprio mentre essa si sta avviando. Arduo prevedere se i rappresentanti dell’Italia al Consiglio Bce vorranno e potranno fare sentire la loro voce. Quelli di Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo sembrano consegnati al silenzio. Mentre dovrebbero, anche loro e non solo loro, ricordare che la sostenibilità politica e sociale è colonna portante di qualsiasi unione monetaria. Le crisi in Grecia e in Portogallo lo testimoniano.
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