venerdì 8 novembre 2019
Perché sono preoccupato per la democrazia e pongo il problema
Ma è davvero un «diritto» il web-anonimato assoluto?
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Gentile direttore,
nato per allargare e rafforzare le nostre democrazie, Gil web, attraverso un utilizzo distorto, sta finendo per deteriorarne la qualità e – se non si interviene per tempo – prima o poi anche la quantità. Il vastissimo ricorso, infatti, all’anonimato nella diffusione sia di messaggi di odio che di disinformazione, sta minando alla radice l’essenza stessa delle società democratiche: la formazione del consenso e la sua libera espressione.

Sono già numerosi i casi – il più famoso è il referendum sulla Brexit del giugno 2016 – dove è stata accertata la manipolazione dell’opinione pubblica tramite il sistematico ricorso a disinformazione e notizie false tramite account anonimi a cui poi non si riesce ad associare una persona fisica, da ritenere poi responsabile delle azioni compiute. Prima dell’invenzione di internet (e soprattutto, della sua degenerazione), il dibattito pubblico si svolgeva nei luoghi tradizionali: radio, televisioni, giornali, luoghi pubblici. In quelle sedi, ogni partecipante è immediatamente identificabile.

E laddove esistano motivate esigenze di anonimato, è certamente possibile accomodarle: se voglio tutelarmi, posso chiedere ad un giornale di non comparire col mio nome, o ad una trasmissione televisiva di apparire mascherato. Tutto questo, ovviamente, a condizione che le redazioni conoscano la mia vera identità: in modo da potermi comunque ritenere responsabile di ciò che dico, qualora la mia libertà di espressione diffami qualcuno o comunque affermi cose non vere. Perché ci hanno insegnato che la mia libertà (anche di espressione) finisce laddove inizia quella del prossimo: libertà di non essere impunemente diffamato, e di non vedere leso il mio fondamentale diritto alla corretta informazione. Io mi chiedo, semplicemente, a che punto della storia abbiamo deciso che sul web questo non dovesse più valere. E ne abbiamo fatto uno spazio in cui sia possibile odiare e disinformare senza esserne mai chiamati a rispondere. Se è vero, come alcuni mi dicono in questi giorni, che solo questa è 'libertà' o 'democrazia', ne devo logicamente ricavare che prima dell’invenzione del web vivevamo tutti in dittatura.

E occorre allora aggiornare la definizione di libertà: quella che usavo io faceva rima non solo con partecipazione, ma anche e soprattutto con responsabilità. Quella che sento usare in questi giorni, temo faccia più rima con la necessità di qualcuno di non perdere fatturato, in conseguenza della probabile diminuzione del traffico internet derivante dall’esclusione dei profili falsi e anonimi. Si dice che già ora l’anonimato sul web non esiste, e tutti sono perfettamente identificabili. Ma questa è un’ennesima affermazione falsa, come sa chiunque abbia mai intentato azioni penali contro qualcuno degli anonimi sul web. La mia proposta è semplice: creiamo un sistema – simile allo Spid, già in vigore per l’accesso ai servizi online della pubblica amministrazione – attraverso cui passare per potersi aprire un profilo social.

Che può benissimo assumere un nickname o uno pseudonimo: ma a quel punto sarebbe possibile, in caso di stretta necessità, risalire a nome e cognome della persona responsabile, sempre e comunque. È certamente vero che una siffatta regolamentazione sarebbe quanto più efficace tanto più alto sarebbe il livello di governo a cui venisse realizzata, in quanto il web è ovviamente fenomeno globale. Ma era un argomento che si usava anche per impedire ogni forma di web tax, permettendo nel frattempo alle multinazionali di continuare a pagare le stesse tasse della pasticceria all’angolo. Fino a quando alcuni Paesi – tra cui Francia e Italia – hanno deciso di partire comunque con normative nazionali, per forzare la predisposizione di un intervento almeno europeo.

Del resto in molti Paesi europei il dibattito sull’anonimato è già partito: in Austria, ad esempio, si sta pensando di limitare l’accesso ai social a chi usa uno smartphone, in modo che sia immediato il legame con il numero di cellulare (per avere il quale bisogna presentare un documento di identità, senza che nessuno abbia per questo mai evocato il rischio di 'dittatura'). Io non pretendo di avere la soluzione pronta, né che sia necessariamente la migliore o la più adatta. Ma chiedo che il problema venga finalmente riconosciuto a voce alta, e parta un dibattito serio finalizzato alla predisposizione di un intervento normativo. Prima nazionale, poi sovranazionale. Perché in ballo c’è molto più di qualche odiatore seriale o del fatturato di qualche gigante del web: c’è la qualità della nostra democrazia.

Deputato di Italia Viva

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