È l'ora della fermezza, non di sentenze cieche
mercoledì 29 luglio 2020

Non è bene illudersi facilmente, ma neanche deprimersi; non siamo ingenui ottimisti, ma nemmeno ci lasciamo abbattere dallo sconforto. I “fatti di Piacenza” sono di una gravità inaudita. L’Arma dei carabinieri deve fermarsi e fare un serio, doloroso esame di coscienza; senza badare a spese, senza giocare al risparmio, senza perdersi di coraggio. La vicenda di cui parliamo, il “caso Palamara”, i politici corrotti o collusi, le orribili notizie dei preti pedofili, ancora una volta, hanno dimostrato, se ce ne fosse bisogno, che non basta una divisa, una toga, un seggio parlamentare, un abito talare, a rendere migliore un uomo. Da duemila anni la Chiesa non si stanca di ricordarlo e sé stessa e agli altri. Purtroppo non sempre ci abbiamo badato e ci siamo illusi di migliorare il mondo solo a forza di interdetti, sanzioni, carcerazioni, leggi a volte giuste, altre volte sfacciatamente ingiuste. Il pericolo, però, in questo tempo, si fa più forte, non tanto per noi adulti, stravaccinati, disillusi e anche un tantino cinici. No, il pericolo vero lo corrono i nostri figli. Ho detto i nostri, non i vostri o i loro, perché questi scandali coinvolgono tutti. L’insopportabile fetore che emana da quella caserma emiliana trasformata – secondo gravi e documentate accuse – in un covo di delinquenti lo abbiamo inalato tutti. Mi hanno fatto prima rabbia, poi una sorta di tenerezza coloro che si sono attardati a dare una controllatina alle regioni di origine di questi presunti usurpatori di divisa: erano tutti del nostro meraviglioso e problematico Sud. E qualcuno, euforico, ha cominciato a gridare: «Eureka!». Ecco, pensavano di aver trovato il bandolo della matassa. Poveri, ingenui e testardi illusi, cui la storia non riesce a insegnare niente. Magari fosse come lorsignori si ostinano a credere, avremmo da millenni risolto il problema del male. Se la patologica e sciocca bramosia per il denaro, il potere, per la variegata e interminabile sfilza dei piaceri potesse essere confinata in una qualche parte dell’emisfero, potremo vedere di nuovo Adamo nel giardino.

Magari avesse avuto ragione il vecchio Marco Ezechia Lombroso detto Cesare, quando si convinse, e avrebbe voluto convincerci, che esaminando i crani si potevano controllare i cuori. E, invece no; e proprio qui risiede la nostra grandezza intrecciata alla miseria che sempre l’accompagna. Se tu, fratello, offendi il mio amato Sud, io ti rispondo per le rime; e rimarremo inutilmente ad accapigliarci fino a sera per individuare chi l’ha fatta più grossa. L’elenco degli orrori si perde nei meandri del tempo. Allora ragioniamo, perché non c’è niente di più stupido che affaticarsi per colpire un bersaglio sbagliato.

Questo ennesimo scandalo può e deve insegnarci qualcosa. La caserma sigillata di Piacenza è un vero pugno negli occhi. Però, attenzione a non aggiungere dolore al dolore, amarezza ad amarezza. Attenzione a non emettere, in pubblico e in privato, sentenze precipitose e ingiuste, dunque cieche. Permettetemi un ricordo personale. Napoli, via Duomo, con passo svelto, stiamo andando in cattedrale. Un gruppo di persone sosta davanti a un bar. Ad alta voce, qualcuno avverte: «Ragazzi, spostatevi, stanno passando i pedofili». Se una lama arroventata mi avesse trapassato l’animo, mi avrebbe fatto meno male. Quelle parole erano una volgare e spietata menzogna. Non sono un pedofilo. Il pensiero corre ai carabinieri onesti, al loro imbarazzo, al loro dolore, alla vergogna dipinta sui loro volti. No, non vogliamo che paghino per colpe mai commesse. Nei loro confronti la stima e l’amicizia non sono venute meno. Bisogna, però, correre presto e bene ai ripari.

Papa Francesco riguardo al dramma della pedofilia e alla gestione dei beni della Chiesa, ha aperto strade nuove, severe, chiare, efficaci, che già stanno portando risultati. Le forze dell’ordine, il mondo politico, la magistratura, dovranno fare altrettanto. Occorre mettere con rigore e intelligenza gli uomini giusti al posto giusto. Occorre selezionare con severità e professionalità le reclute perché comprendano fin da subito che il vero potere è servizio. Ma occorre soprattutto che tutti ci facciamo custodi dei nostri colleghi. Per meglio aiutarli ed essere aiutati a fare il proprio dovere, consapevoli che quando a cadere nel precipizio è un uomo che indossa una divisa, una toga, un abito talare il male che ne viene ai piccoli e ai deboli è incommensurabile.

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