martedì 28 novembre 2023
Ma un allievo del liceo Casiraghi, risultato tra i migliori d’Italia, ha detto:«Studio per diventare una brava persona». «Per me questo è già un successo», ha commentato una sua docente
Il “Mosè” (1513-1515) scolpito da Michelangelo Buonarroti per la tomba di Giulio IIe conservato nella chiesa romana di San Pietro in Vincoli

Il “Mosè” (1513-1515) scolpito da Michelangelo Buonarroti per la tomba di Giulio IIe conservato nella chiesa romana di San Pietro in Vincoli - .

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La settimana scorsa, dopo un lungo conto alla rovescia, sono uscite le attesissime classifiche di Eduscopio. Come ogni anno se ne è parlato moltissimo, nel bene e nel male. Sono sempre stato molto critico su queste classifiche. A mio avviso, giudicare la qualità di una scuola a partire dalle prestazioni accademiche dei suoi studenti è del tutto fuorviante. Certo, una buona scuola è una scuola che prepara bene i suoi allievi. Ma la prestazione misurata in termini numerici è solo uno dei parametri per definire la qualità di una istituzione educativa, e nemmeno il più importante. Di solito, dunque, non dedico molto tempo a Eduscopio.

Quest’anno però al primo posto tra i licei classici milanesi si è piazzato il liceo Casiraghi di Cinisello Balsamo. Dato che in quel liceo ho insegnato, che quel luogo è stato per me una casa accogliente, so no stato felice quando una collega mi ha segnalato un servizio girato nella scuola. L’ho guardato: mi ha colpito profondamente. In quel video, paradossalmente, nonostante il primo posto in classifica, di prestazione e voti non si parla quasi per nulla. Il dirigente parla invece di Giulio Casiraghi, partigiano a cui il liceo è intitolato, e di un ulivo piantato nel giardino della scuola in memoria di chi ha sacrificato la propria vita per combattere contro la mafia. Una insegnante sostiene che il segreto del Casiraghi è la passione dei prof: «Il nostro è il mestiere più bello del mondo, veniamo qui più per passione che per motivi economici».

Per un’altra docente il segreto sono gli studenti: «Ho trovato tantissima umanità», afferma. Uno dei suoi studenti, intervistato, dice una cosa meravigliosa: «Studio per diventare una brava persona». «Per me questo è già un successo, quasi più di Eduscopio», commenta la prof, sentendo queste parole. Quella prof ha perfettamente ragione. La passione, l’umanità, la relazione, l’impegno, il desiderio di essere migliori vengono molto prima della misurazione di una prestazione.

A me lo ha insegnato un insegnante delle medie, nel periodo della mia vita in cui ero più superficiale. Come diceva mia nonna in dialetto milanese, ero nel pieno dell’età della “stupidera”.

Prendevo un sacco di note, facevo impazzire i miei insegnanti e, tra questi, anche il Prof: da adesso in poi lo chiamerò così, con la P maiuscola. Nelle ore del Prof mi dedicavo a molte attività che ben poco avevano a che fare con lo studio: partecipavo ad aste del fantacalcio; raccontavo agli amici barzellette con doppi sensi osceni; talvolta scrivevo bigliettini alla ragazza che mi piaceva, ricavandone una serie infinta di due di picche, per poi trascorrere le ore del pomeriggio ad ascoltare le canzoni più malinconiche di Marco Masini.

Un giorno io e il mio compagno di banco (il primo banco, ovviamente) disegnammo sull’armadio della classe, che era proprio di fianco alla cattedra, una piccola porta da calcio con la matita e cominciammo a sfidarci ai rigori scagliando con le dita minuscole palline di carta. Il Prof si infuriò, ci mise una nota. Ma, alla fine dell’ultima ora, mentre uscivo mogio dalla classe, già preoccupato per i rimproveri dei miei genitori, mi accorsi che il Prof mi stava aspettando in corridoio. «Andiamo?», mi chiese. Feci di sì con la testa.

Ci incamminammo insieme verso la fermata della metropolitana. Tornava a casa anche lui in metro. Quando aveva l’ultima ora con la mia classe, mi aspettava sempre per andare insieme fino alla stazione. A noi si aggregavano altri compagni. Parlavamo di tutto: di musica e di calcio, che a lui non interessava granché; eppure, ci ascoltava con attenzione, un’attenzione non simulata. In classe lo facevo impazzire, ma quei tragitti verso la metro erano sereni: non si parlava di disciplina, voti e note, solo di interessi e passioni.

Ripensare a quei momenti trent’anni dopo mi commuove ancora, perché lui c’era per me. C’era non perché ero l’allievo modello, sempre impegnato e composto, ma perché io ero io, e lui a me teneva solo per il fatto che le nostre strade si erano incrociate. Il Prof, per me, c’era; c’era e basta, perché esserci e basta è il modo fondamentale di educare, è la premessa essenziale per poter pretendere di insegnare qualcosa.

E il Prof sapeva insegnare eccome. Adorava la letteratura: la spiegava con gli occhi che brillavano, ci leggeva brani e poesie con una passione contagiosa. Quelle poesie, recitate per regalare bellezza, senza per forza essere collegate a un voto o a una verifica, riuscivano a strapparmi per qualche istante dalla mia superficialità: mi facevano sentire piccolo e insignificante e, allo stesso tempo, desideroso di qualcosa di grande. Se oggi sono un insegnante e uno scrittore, lo devo anche al Prof e a quelle parole donate gratis. Donate a me, che non le meritavo.

Molti anni dopo, ormai adulto, spedii uno dei miei libri al Prof: ci tenevo che lo avesse. Fu l’occasione per scriverci in chat. Scoprii che il Prof, dopo una vita tra i banchi e nei cortili, sempre in mezzo ai suoi studenti, era andato in pensione. Mi scrisse che gli faceva piacere sentirmi, che era contento di poter ritrovare grazie ai social i suoi ex allievi, di scoprire come stavano andando le loro vite. «Finora sono stato fortunato – diceva - trovo persone realizzate e felici». Lui che ci parlava di fronte, dalla cattedra, ora ci guardava da dietro, dopo che ci eravamo allontanati lungo il cammino della nostra vita. Un giorno avevo sentito dire che un educatore è un po’ come Mosè: accompagna il suo popolo fino alla Terra Promessa, ma non ci entra, perché tocca al popolo andare avanti.

Mi tornò in mente quel paragone: immaginai il Prof come Mosè sul monte Nebo, che al termine del suo viaggio ci osservava mentre ci avventuravamo oltre il Giordano. Ripensai agli anni insieme a lui, a tutto ciò che mi aveva lasciato, ma anche a tutte le volte che avevo disturbato le sue lezioni. Mi sentii un po’ in colpa. Gli scrissi: «Caro Prof, le chiedo scusa per la mia stupidità dei tredici anni. Sappia che lei mi ha cambiato la vita».

La sua risposta riuscì a incantarmi come negli anni delle medie. Mi parlò di Michelangelo, l’immenso artista che sapeva guardare un blocco di marmo vedendo già dentro di esso l’opera d’arte che ne sarebbe uscita. «Caro Marco - scrisse il Prof - non scusarti per la tua stupidità dei tredici anni. Scoprirai che c’è una stupidità dei quarant’anni, dei cinquant’anni e dei sessant’anni: c’è una stupidità per tutte le età. È quella stupidità che ci porta a trascorrere la vita pieni di affanni, cercando di massimizzare le prestazioni, di ottenere risultati e di tagliare traguardi, quando invece dovremmo semplicemente fare ciò che quel genio di Michelangelo aveva capito secoli fa. Dovremmo, come lui, togliere il marmo che ci schiaccia, liberarci da tutto ciò che appesantisce le nostre vite, per far risplendere davanti agli altri e a noi stessi quel capolavoro che siamo fin dal principio».

Altro che prestazione pura: una scuola di qualità non si può misurare solo a partire dai numeri. Una scuola di qualità si vede dalla bellezza che regala, dalla qualità dei rapporti che si generano, dalla capacità di fare alzare lo sguardo per scoprire se stessi. Una scuola non è un laboratorio di selezione dei migliori, è una casa che educa e accoglie. Un insegnante non è un arbitro inflessibile e neutro, che alza l’asticella e, se non riesci a superarla, ti mette fuori con totale indifferenza. Un insegnante è un allenatore schierato, di parte, dalla tua parte; è uno che fa il tifo per te.

Un insegnante non è un indifferente specialista della disciplina, è un educatore che ama la materia che insegna e ama i suoi studenti così tanto da voler condividere con loro la ricchezza che ha scoperto. Perché forse, grazie a quella ricchezza, qualcuno scoprirà di valere di più di una nota, di un richiamo o di un voto, magari eccellente. Qualcuno scoprirà di essere un capolavoro.

Insegnante e scrittore

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