martedì 2 febbraio 2010
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Caro direttore,mi permetta di tornare, dopo una ventina di giorni, su un vostro servizio. Il giornale è quello del 10 gennaio, con la denuncia circostanziata della situazione di estremo pericolo della zona vesuviana. Come ha scritto Valeria Chianese, il vulcano è attivo e quindi una volta o l’altra tornerà a eruttare lava che scenderà a valle, come ciclicamente ha sempre fatto in passato. Nonostante questo, in barba a tutti gli allarmi e i divieti, in tanti hanno continuato spensieratamente a costruire in ogni dove, fino ad ostruire tutte le potenziali vie di fuga. Il disastro annunciato – che anch’io spero non si verifichi mai – rischia di essere di dimensioni tali da far impallidire la stessa tragedia di Haiti. Mi aspettavo che alla vostra denuncia seguisse una valanga di repliche, accuse di catastrofismo, enumerazione degli interventi di messa in sicurezza e dei piani di evacuazione. Invece nulla. Almeno, mi sono detto, si scateneranno tutti quei comitati che sono quasi arrivati alla guerra civile per impedire l’avvio dell’impianto di termovalorizzazione di Acerra – da ingenuo ritenevo che una valanga di lava fosse un po’ più allarmante di un innalzamento del pm10 –: nulla anche su questo fronte. Ma in che razza di Paese viviamo?

Antonio Salvatori

Sono forse un po’ più indulgente coi paradossi del nostro Paese o, semplicemente, mi rendo conto che una dose insidiosa di polveri sottili oggi attira più attenzioni di quella che lei definisce una «valanga di lava» certo incombente ma probabilmente non attuale... Però, caro Salvatori, anch’io mi aspettavo qualche reazione dopo l’ampia e documentata sottolineatura che abbiamo fatto riguardo una situazione di rischio alle pendici del Vesuvio che interessa un’area abitata da quasi due milioni di persone. Invece, proprio come lei rileva, tutto è scivolato nell’indifferenza. Un’alzata di spalle, e via. Purtroppo, anche questo episodio conferma un vizio grave, tante volte emerso, della vita civile italiana. Viene tributata un’attenzione perfino sovreccitata agli interessi particolari e al «privato» dei vip, mentre resta distratto e superficiale lo sguardo su realtà dolorose, inquietanti o, come in questo caso, fortemente allarmanti perché potenzialmente gravissime. Quante piccole e grandi «Favara» ci sono nel nostro Sud e, magari, non solo nel Sud?. Ma per restare in Campania, e per riflettere per poi reagire e agire, basta leggere gli articoli – anche questi di Valeria Chianese – che pubblichiamo oggi a pagina 7. Penso, ovviamente e prima di tutto, alla responsabilità che grava su chi fa politica. A quel dovere di lungimiranza che incombe su chi regge la cosa pubblica. Ma penso anche a noi «cittadini semplici» e alla responsabilità che abbiamo verso noi stessi, verso i nostri figli, verso i nostri concittadini. Quando le regole si rompono, c’è sempre qualcuno che comincia a farlo, che dà il «là» e regala un contagioso cattivo esempio. È sempre così, e così è anche nell’area vesuviana a rischio. Sorge una casa dove non si dovrebbe costruire, e poi un’altra e un’altra ancora... E negli anni la zona proibita si fa caotico prolungamento della città. Tutto all’insegna del «se lo fa lui, posso farlo anch’io». È questa la spirale che va spezzata: con – dall’alto – interventi frutto di un’accorta gestione politico-amministrativa, ma anche – dal basso – con un «aprire gli occhi» da padri e madri di famiglia, da cittadini responsabili e consapevoli di sé e del luogo nel quale si vive. Ogni cambiamento comincia, prima di tutto, da qui. E anche il buon esempio è contagioso.
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