Piersanti Mattarella, 40 anni dopo
domenica 5 gennaio 2020

C’è un prima e c’è un dopo nella storia della Sicilia. Lo segna una data: 6 gennaio 1980. Quel giorno venne drammaticamente assassinato sotto gli occhi della sua famiglia l’uomo che aveva avviato una nuova stagione politica nell’Isola, Piersanti Mattarella. Fortemente sostenuto da Aldo Moro, Mattarella fu ucciso da presidente della Regione quando era riuscito a dare forma a un Governo di regole per una terra abituata a non averne. Nessuno slogan da ostentare – come si potrebbe mal pensare in un’epoca come la nostra, abituata ai continui "cinguettii" del politico di turno – ma un progetto autentico e rigoroso da realizzare, fatto di interventi concreti: controlli rigorosi sull’aggiudicazione delle gare d’appalto, lotta alla speculazione edilizia, una nuova legge urbanistica (rivoluzionaria per la Sicilia, con la riduzione degli indici di edificabilità) per fare solo qualche esempio.

Sorretta da una grande fede, la sua fu una rivoluzione gentile – culturalmente, civicamente e spiritualmente cresciuta all’interno dell’Azione Cattolica – che lo portò a schierarsi apertamente contro la criminalità mafiosa in anni in cui il nostro Paese era privo di una qualsiasi legislazione antimafia (e men che meno di una cultura dell’antimafia) che ne sapesse riconoscere la pervasività e la pericolosità. Il tutto muovendosi all’interno di un partito, la Democrazia Cristiana, che fra i suoi maggiori esponenti locali schierava purtroppo anche politici come Vito Ciancimino, per tanti anni sindaco e assessore ai lavori pubblici di Palermo, referente proprio allora di quegli stessi corleonesi che già ne insanguinavano impuniti le strade.

Per avere un’idea di Mattarella e del suo rigore basta rileggere il discorso che solo un mese prima di essere assassinato tenne davanti a Sandro Pertini, in occasione della sua visita presidenziale nell’Isola, in cui chiese espressamente al Capo dello Stato di aiutare i siciliani a liberarsi dall’oppressione mafiosa fermamente convinto che il riscatto dell’Isola non potesse (e ancora oggi non può) che passare dalla liberazione dei suoi "legacci". Una sfida aperta alla mafia che da presidente della Regione portò avanti impegnandosi anzitutto a ripristinare quelle condizioni di legalità nell’amministrazione che fatalmente collidevano con gli interessi mafiosi.

Rino La Placa, già parlamentare – uno degli uomini più vicini a Piersanti allora e all’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella poi – ricorda come «la sua lotta senza quartiere agli abusi, alle sopraffazioni, ai facili arricchimenti» non fece «affatto piacere ai boss mafiosi, in quel periodo più arroganti che mai». Era la sua impostazione così come la sua caratura ad essere di per sé assolutamente contraria alla mentalità mafiosa. Nessun ammiccamento a nessun personaggio che volesse dominare il territorio, sostituendosi allo Stato. Nessun piegarsi all’arroganza.

Fu in questa direzione che maturò la netta contrarietà di Mattarella alla politica alla Ciancimino. Una vera e propria contrapposizione, innanzitutto culturale, fra i due uomini. Non a caso fu proprio lui a essere tra i primi a sbarrare la strada a "don Vito" negli incarichi direttivi di partito. Cammino che terminò – come ricorda ancora La Placa – «nel congresso del 1983 con l’altro Mattarella, Sergio». Fu poi, ma solo poi, che tutta la Sicilia ne prese le distanze.
Quanto ai fatti tragici di quel 6 gennaio dell’Ottanta, per l’omicidio di Piersanti Mattarella quindici anni dopo furono condannati i boss della cupola mafiosa ma non vennero mai individuati gli esecutori materiali del delitto, nonostante secondo il giudice Falcone quella mattina, sul luogo dell’omicidio, vi fossero due killer dei Nar, Fioravanti e Cavallini.

In anni in cui sappiamo quanta parte delle istituzioni fosse invasa dalla presenza mafiosa, diventa ancor più fondamentale conoscere con certezza chi siano stati gli esecutori materiali di quel crimine, appurare se oltre alla mafia vi siano stati coinvolti altri soggetti. Mattarella pagò con il sacrificio della vita il suo profondo rispetto per quelle stesse istituzioni democratiche e per l’idea di una politica alta e nobile, non solo pulita, ma protagonista di un’azione di pulizia e di modernizzazione a tutto tondo, che a cominciare dal suo interno e dai suoi rappresentanti potesse raggiungere l’intera società. Una grande lezione, la sua, da non dimenticare. Che in Sicilia e in tutta Italia a distanza di quarant’anni dà una risposta di dovere e di speranza a un bisogno e a un auspicio ancora drammaticamente attuali, purtroppo.

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