sabato 24 febbraio 2018
Un giovane siriano già emigrante in Italia lancia dalle zone colpite dall'aviazione di Damasco un video-messaggio disperato: qui muoiono i civili, l'Europa fermi le bombe
Il grido dalla Ghouta: «Basta con le bombe contro i civili, stop ai raid»

Himad Wafa è un siriano con un passato di emigrato in Italia. E proprio alle istituzioni del nostro Paese e dell'Europa intera si rivolge in alcuni video girati a Ghouta Est, non lontano da Damasco, da dove implora un intervento politico urgente per trovare una rapida soluzione alla crisi siriana, e in particolare per mettere fine al martellamento sul sobborgo ribelle.

I raid aerei di Damasco, condotti con il decisivo appoggio dell’aeronautica russa, non stanno risparmiando i civili, già provati da un assedio che sta per giungere al quinto anno ed è ora al punto di non ritorno.

E mentre Ghouta Est continua a essere sotto le bombe, è atteso per le 18 il voto del Consiglio di sicurezza dell'Onu su un cessate il fuoco di 30 giorni in tutto il Paese. Il voto doveva tenersi ieri, ma è stato rinviato per prendere tempo e negoziare con la Russia, in modo da impedire un suo veto. Questa nuova campagna aerea è stata lanciata dal regime, con il supporto aereo di Mosca, domenica scorsa e pare sia preludio a un'offensiva terrestre per riprendere il controllo dell'area, finora in mano ai ribelli alle porte di Damasco.

Sottoposti a un assedio asfissiante dal regime dal 2013, ai circa 400mila abitanti della Ghouta orientale mancano beni di prima necessità come cibo e medicine.

Una proposta per una “soluzione sostenibile”, arriva da Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, che in Libano assiste migliaia di profughi siriani: “Zone sicure per il ritorno dei Siriani secondo garanzie e condizioni realmente umane”.

Il piano, condiviso con i profughi, suggerisce l’istituzione di “una zona umanitaria disarmata, sotto protezione internazionale, senza presenza di gruppi armati e nessun ministero del regime siriano di Damasco. È una zona esclusivamente per civili che sono stati sfollati dal regime dal territorio siriano”. Quest’area può essere creata nella fascia di terra che va “a nord da Qusayr a Yabroud, a Sud dal confine Libanese, a Ovest dal confine che precede le autostrade di Damasco e da Homs a Est”. Tra il 60% e il 70% dei rifugiati siriani in Libano, infatti, proviene “dalla suddetta area e le loro terre sono ora disabitate”. Un ritorno ritento come “l’ultima soluzione possibile perché possano ricrearsi una vita accettabile e crescere i propri figli in un posto sicuro”. Le regioni individuate sono ricche di risorse idriche e terreni agricoli, il che garantirebbe il reperimento delle risorse e la sicurezza alimentare. Inoltre “la presenza di un confine tra la suddetta regione e il Libano, che ha dato prova di capacità di rimanere il più neutrale possibile di fronte al conflitto siriano”, assicurerebbe stabilità all’area.

Operazione Colomba è composto da volontari che intervengono in zone di conflitto, anche quando dichiarate non sicure, per dare supporto alle comunità locali, vittime dei conflitti armati e sociali. A partire dalla condivisione della vita delle vittime della violenza, agisce attraverso azioni nonviolente per abbassare il livello di violenza e per facilitare il dialogo e la mediazione del conflitto.“Da Settembre 2013 siamo presenti in Libano, da Aprile 2014 ci siamo stabiliti nel campo profughi nel villaggio di Tel Abbas, Akkar, nel nord del paese, a 5 chilometri dalla Siria”, spiegano gli operatori sul campo. “Furono i rifugiati siriani a chiederci di dormire con loro al campo ricordano - dopo aver ricevuto minacce e violenze da parte di alcuni vicini libanesi. Da quel momento, i volontari vivono in una tenda all’interno del campo, condividendo la vita quotidiana dei rifugiati. Il campo dove ci troviamo è un insediamento informale, come, del resto, tutti gli altri insediamenti di siriani in Libano”.

“È responsabilità del mondo non stare a guardare e lasciare la vita dei civili nelle mani di chi sa uccidere e far la guerra”, dice Alberto Capannini, capomissione di Operazione Colomba al confine tra Siria e Libano. “La guerra non è finita e non finirà senza che le coscienze ancora vive del nostro mondo intervengano. È il momento di creare uno spazio per chi sta costruendo nel silenzio una alternativa all'odio e alla morte. Facciamo diventare l'Europa il luogo della possibilità di espressione dell’alternativa alla follia omicida, migliaia di profughi hanno scritto con fantasia e dolore una proposta per la Siria che diventerà percorribile se le persone e i governi europei la faranno propria”.Un appello maturato anche dopo che Capannini, insieme a Gennaro Giudetti, già volontario di Operazione Colomba e nei mesi scorsi tra i protagonisti di alcuni salvataggi in mare al largo delle coste libiche, erano stati ascoltati dall’Europarlamento.

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