mercoledì 14 giugno 2017
La bimba cristiana, che oggi ha sei anni, era stata sequestrata nel 2014 a Qaraqosh dai miliziani del Daesh e poi venduta. La gioia dei genitori. Per lei era stato lanciato l'hashtag #savecristina.
Un'altra immagine di Cristina dopo il suo ritrovamento

Un'altra immagine di Cristina dopo il suo ritrovamento

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In un arroventato container di venticinque metri quadrati, per tre lunghissimi anni Aida e Khidir non hanno fatto altro che chiedersi dove fosse stata portata loro figlia Cristina. Tre anni a chiedersi che sembianze potesse avere assunto la più piccola di casa, e chi le stesse dando da mangiare. Pregando ogni giorno Dio perché, in assenza di un padre e di una madre, ci fosse qualcuno lì fuori, in questo mondo improvvisamente tramutatosi in un incubo, che avesse ancora pietà umana di una bimba così piccola.

“Era una notizia che aspettavamo da tanto tempo: Cristina finalmente ha potuto riabbracciare la sua famiglia. Da tre anni non se ne avevano notizie, ma fortunatamente in tutto questo tempo una famiglia musulmana l’ha protetta”. E’ una storia a lieto fine quella che arriva ad Avvenire da Mosul, attraverso la voce di padre Jalal Yako, religioso rogazionista. Una storia che parla di orrore, certo, della tragedia di un rapimento e della separazione di una bimba di tre anni dai suoi genitori. Ma anche di attesa e di una speranza che alla fine non viene tradita. Grazie a chi, pur avendo un’altra fede religiosa, ha compreso che quella bimba prima sequestrata e poi abbandonata a se stessa aveva bisogno di aiuto.

Di Cristina Avvenire aveva conosciuto nel 2014 il padre, Khidir Ebada, un profugo cristiano non vedente che era stato costretto a fuggire dal villaggio di Qaraqosh a causa dell’avanzata del Daesh e a rifugiarsi in un campo profughi di Ankawa, alle porte di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno. Con lui, a vivere in un container, c’erano la moglie Aida e gli altri quattro figli, ma non la più piccola, Cristina appunto. «L’hanno presa quando l'autista ci ha portato via da Qaraqosh – ci aveva raccontato -. A mia moglie, che ha protestato per due volte, hanno detto: se parli ancora ti uccidiamo».

Quando i miliziani del Daesh erano arrivati nel villaggio, il terrore aveva squarciato la comunità dei cristiani di cui anche la famiglia siro cattolica di Khidir e Aida faceva parte. Chiese e abitazioni venivano distrutte e saccheggiate di continuo. “I miliziani hanno intimato ai cristiani di lasciare il nostro villaggio, ma noi abbiamo deciso di rimanere – raccontava allora Aida -. Ci minacciavano di continuo, volevano che ci convertissimo all’islam”. Il 22 agosto 2014 arrivò un autobus per portare via un gruppo di cristiani, tra cui anche la famiglia di Khidir. “Ci hanno fatto salire con la forza, hanno preso soldi e gioielli - aveva aggiunto Aida -. Poi uno del Daesh ha visto che tenevo in braccio Cristina e me l’ha strappata”.


“Cristina – racconta ora padre Yako – era stata messa in vendita insieme ad altri bambini in una moschea di Mosul, finita nel frattempo nelle mani degli estremisti del Daesh. Era stata così riscattata da una famiglia musulmana che già aveva nove figli e che fortunatamente, pur sapendo che era una bimba cristiana, l’ha trattata come se fosse la decima figlia, rifiutando anche di rivenderla una seconda volta. Il suo nome però era stato cambiato in Zaynab”. Nel frattempo Khidir e Aida continuavano a cercare Christina, anche spargendo la voce attraverso decine di operatori umanitari negli altri campi profughi.

Sistemata ad Ankawa nell’Ashti camp (in curdo "Campo della pace"), la famiglia di Khidir passava la sue giornate in un container di due vani. «Mi hanno detto che Cristina adesso è a Mosul, è proprietà di un certo Abu Niswah. Ho mandato due milioni di dinari per liberare la bimba. Non è servito a nulla», raccontava Khidir ad Avvenire nel 2014. Il sogno era quello di ritrovare la bambina e tornare tutti a Qaraqosh, dove Khidir lavorava come usciere in tribunale, ma «non ci fidiamo più di alcune tribù, come i mera che ci hanno derubato di tutto – raccontava -. Ci vuole una protezione molto forte».

Passa il tempo, ma non la determinazione a riabbracciare la piccola Cristina. Nel 2015 una delegazione di frati della Basilica di San Francesco di Assisi incontra Aida nel campo profughi e lancia un appello, attraverso l’hashtag #Savecristina (salviamo Cristina), con la speranza che venga toccato “il cuore indurito dei terroristi”, ma per altri due anni di Cristina/Zaynab non si sa nulla.
Poi, tutto accade all’improvviso. “E’ successo venerdì scorso – racconta padre Yako -. Negli ultimi giorni, dopo la liberazione da parte delle forze armate irachene di alcuni quartieri di Mosul che erano in mano al Daesh, la famiglia di Khidir, che non aveva mai smesso di cercarla, ha continuato a distribuire foto della bambina tramite alcuni parenti di Aida. Preghiere che sono state ascoltate: Cristina è stata riconosciuta dalla famiglia musulmana che l’aveva presa con sé, proteggendola”.

E’ così che la bambina – che in un video, capelli lunghi e una coroncina di margherite in testa, appare ancora comprensibilmente intimidita - può riabbracciare i suoi genitori e la sua comunità. Per tre anni, mentre infuriava la distruzione islamista, Cristina è stata soccorsa, protetta, amata. “Questa famiglia musulmana ha compiuto un gesto molto bello – conclude padre Yako -: ha sentito il dovere umano di custodirla”.

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