Come proteggere la privacy: piccoli gesti di autodifesa

I social, gli impianti di videosorveglianza di case, alberghi studi medici: Internet è un ambiente sempre più insidioso. Lo sappiamo, ma troppo spesso ci comportiamo come se non lo sapessimo
September 16, 2025
Come proteggere la privacy: piccoli gesti di autodifesa
-- | Dobbiamo prestare cautela prima di connettere un dispositivo o di condividere un’immagine sui social network
Il caso dei siti sessisti, con i suoi risvolti inquietanti e gli sviluppi delle prime indagini, è al centro dell’attenzione mediatica da quando è esploso, ovvero alla fine di agosto. In oltre due settimane si è giustamente rimarcato da più parti l’orrore di una violenza che ha colpito centinaia di donne, alcune famose e altre no, ma tutte indistintamente vittime di condivisioni inconsapevoli di foto e video rubati, accompagnati da commenti spregevoli. Quest’ondata di sdegno si è alimentata giorno dopo giorno, complici anche altri fatti di cronaca che ci ricordano la vulnerabilità dell’individuo nell’era digitale. Del resto, dopo la vicenda dei corpi femminili mercificati ed esposti a pagamento su siti e portali, il 4 settembre l’azienda trevigiana Yarix ha scovato l’esistenza di un portale in cui venivano diffuse immagini sottratte da impianti di videosorveglianza di alberghi, studi medici, spogliatoi e perfino case private. Un’indagine che è partita proprio dal caso che ha coinvolto il conduttore televisivo Stefano De Martino, vittima di un’intrusione nel cloud del proprio sistema di videosorveglianza domestica.
Oltre a generare disgusto, indignazione e una sacrosanta richiesta di pene severe per i responsabili di queste azioni becere e illecite, queste vicende – assieme ad altri recenti segnali sulla sicurezza digitale (profili social hackerati, truffe online in aumento, furti di dati sensibili e violazioni della privacy) – dovrebbero suonare come campanelli d’allarme sul livello di pericolosità che il cosiddetto mondo virtuale ha raggiunto. La cronaca ci offre continui segnali di una verità ormai incontrovertibile. Una realtà che conosciamo tutti, ma della quale forse non siamo ancora pienamente consci: Internet e i suoi “figli” (i social network, le piattaforme, le webcam a basso costo che installiamo e connettiamo al Web senza i dovuti accorgimenti) sono diventati ambienti sempre più insidiosi, infestati da varie forme di attività criminale. Lo sappiamo, ma troppo spesso ci comportiamo come se non lo sapessimo.
È fondamentale, innanzitutto, sottolineare che nessuna persona, in nessun caso, merita di essere vittima di violenze digitali o intrusioni nella propria privacy. Non stiamo dicendo che chi decide di postare incessantemente foto o video personali in rete se l’è “cercata”. La libertà di esprimersi e di condividere momenti della propria vita è un diritto fondamentale. E ogni individuo deve poter scegliere cosa fare della propria immagine. Tuttavia, ciò non toglie che sviluppare una maggiore consapevolezza su opportunità e rischi prima di fare certe scelte digitali possa rivelarsi un esercizio molto utile. Perché quando saliamo su un mezzo pubblico siamo attenti a custodire il nostro portafoglio, mentre spesso non prestiamo la stessa cautela prima di connettere un dispositivo o di condividere un’immagine sui social network? Eppure la connessione al mondo digitale meriterebbe la stessa accortezza con cui custodiamo i nostri beni materiali. Perché quando entriamo in un negozio ci chiediamo se quel vestito ci serve e lo vogliamo davvero nel nostro armadio o lo desideriamo solo per impulso, mentre quando postiamo un selfie o una foto dei nostri figli tendiamo ad agire d’istinto o comunque senza riflettere abbastanza sulle implicazioni di quell’azione?
Ogni volta che divulghiamo un’immagine, un video o un contenuto che riguarda la nostra vita privata, stiamo decidendo di renderlo pubblico. E, come nella vita offline, ci dovrebbe essere una fase di valutazione prima di compiere questo passo. Fermo restando che se si filmano di nascosto le persone in luoghi privati ogni cautela e prevenzione rischia di essere vana, quando invece siamo noi a decidere cosa “connettere” e postare un surplus di consapevolezza potrebbe favorire un uso delle tecnologie meno impulsivo (e forse più sano). E avrebbe anche l’effetto di complicare la vita ai malintenzionati, rendendo il nostro “patrimonio digitale” più difficile da attaccare. Purtroppo, l’idea che la sicurezza informatica possa essere affidata esclusivamente a leggi, forze dell’ordine o magistratura si sta rivelando un’illusione. Oggi la realtà virtuale è vastissima e – complice l’Intelligenza artificiale – viaggia a una velocità talmente elevata da rendere impensabile che siano solo gli organi competenti a tenere tutto sotto controllo. Ciascuno di noi è chiamato a dare il proprio contributo alla cybersecurity, tramite comportamenti individuali più consapevoli e con un maggiore senso di responsabilità verso le tecnologie che usiamo.

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