sabato 16 gennaio 2021
La comunità cattolica è in ginocchio. Voci e storie di giovani e anziani in difficoltà. Dall’Italia un ponte di aiuti per creare un centro diocesano che sosterrà 300 famiglie
Il vescovo Essayan, vicario apostolico di Beirut, mentre visita una famiglia libanese in difficoltà

Il vescovo Essayan, vicario apostolico di Beirut, mentre visita una famiglia libanese in difficoltà - Fondazione Giovanni Paolo II

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Ha perso due figli dopo l’esplosione al porto di Beirut. E anche la sua casa è stata devastata. Vive con dignità il suo lutto Samira, 85 anni e un volto dai tratti ancora vivaci, in un appartamento della capitale del Libano. Non da sola, però. Al suo fianco ha il figlio Amin che però da più di un anno è disoccupato, a riprova di come la crisi economica abbia messo in ginocchio quella che un tempo era la “Svizzera del Medio Oriente” e oggi è un Paese sul lastrico. Nonostante l’isolamento forzato imposto dall’emergenza Covid, Samira può contare comunque sulla vicinanza e sul sostegno dei giovani (e meno giovani) del vicariato apostolico di Beirut che raccogliere i cattolici di rito latino. La chiamano due volte al giorno per sentire come sta; la aiutano portandole cibo e beni di prima necessità; le fanno visita ogni tanto. Compreso il vescovo Cesar Essayan. «Grazie voi – dice ogni volta che qualcuno le telefona o bussa alla porta – il tempo non scorre più così lento come quando non siete con me».


In una metropoli ancora prostrata per la deflagrazione dello scorso agosto, che come il resto della nazione è al collasso e che il coronavirus ha piegato con la sua forza oscura, la comunità cattolica è accanto ai più fragili. Una parola d’ordine anima la sua azione fra la gente: speranza. «Una speranza che si crea nell’incontro e che nasce dal non sentirsi soli», dice il vescovo Essayan. A lui e al suo drappello di “angeli delle macerie” che nelle drammatiche ore seguite all’esplosione sono scesi in strada per soccorrere feriti e famiglie, si deve il progetto di un centro di comunità che sta sorgendo nel quartiere di Rmeil, uno dei più colpiti nel disastro, all’interno di un ex mercato coperto andato distrutto. Si chiamerà Crossing together che significa “Andiamo oltre insieme”. «Un auspicio ma soprattutto un grido di aiuto che si leva dagli abitanti di Beirut e che non può restare inascoltato», afferma Angiolo Rossi, direttore della Fondazione Giovanni Paolo II. Partner dell’iniziativa insieme con Avvenire, la onlus è figlia dall’impegno delle diocesi della Toscana in Medio Oriente e da anni è in prima linea a fianco dei cristiani e dei percorsi di sostegno agli ultimi. «Il centro – spiega Rossi – che nasce dal cuore e dalla volontà dei ragazzi del vicariato apostolico e dalle associazioni studentesche dell’Università di Beirut intende essere un punto di riferimento per trecento famiglie in difficoltà, pari a circa mille persone, che risiedono nell’agglomerato. Fra gli obiettivi c’è anche quello di essere un piccolo segno per scongiurare l’esodo dei cristiani dal Paese. Perché la situazione è terribile».

I volontari del vicariato apostolico di Beirut mentre soccorrono in strada le famiglie ferite dall'esplosione al porto della capitale del Libano

I volontari del vicariato apostolico di Beirut mentre soccorrono in strada le famiglie ferite dall'esplosione al porto della capitale del Libano - Fondazione Giovanni Paolo II

Aisha (il nome è di fantasia) ha il corpo ancora sfregiato dall’esplosione al porto. «Ero in casa con mia mamma – racconta la ragazza di 24 anni tornando con la mente alla scorsa estate –. Fuori della finestra ho un visto un’enorme palla di fuoco. Pensavo ai film su Hiroshima e Nagasaki proiettati al liceo. Mi sono ritrovata sotto le tende del soggiorno. All’inizio pensavo di essere cieca perché non vedevo niente. Intorno a me solo sangue e pezzi di vetro che mi uscivano dalle gambe e dalle braccia». La madre era fra i detriti. «Quando ci siamo incamminate verso l’ospedale, non abbiamo nemmeno riconosciuto le vie, tanto erano ferite. All’ingresso del plesso la gente sanguinava, piangeva e non poteva entrare perché in realtà l’ospedale era quasi distrutto». Per far fronte all’emergenza i volontari del vicariato hanno portato per giorni il loro contributo con un medico e un infermiere che curavano i feriti a domicilio o sui marciapiedi. «Era la nostra prima risposta, visto che i pronti soccorsi erano saturi o peggio ancora inutilizzabili», fa sapere il vescovo.


La fase acuta è stata superata ma la ricostruzione stenta. Per di più rallentata da una congiuntura economica spaventosa e dalla crisi sanitaria. «L’Italia è da sempre amica del Libano – ricorda il vescovo emerito di Fiesole, Luciano Giovannetti, iniziatore della Fondazione che porta il nome del Papa santo –. Ancora una volta siamo chiamati a dimostrarlo con un ponte di solidarietà in aiuto dei nostri fratelli nella fede».


“Avvenire” in campo per la raccolta fondi. Ecco come contribuire


Si chiama Crossing together (“Andiamo oltre insieme”) il progetto sostenuto dalla Fondazione Giovanni Paolo II, insieme con “Avvenire”, per aiutare il Libano e in particolare i cristiani dopo l’esplosione di agosto che ha devastato Beirut. Una tragedia che si è aggiunta alla pandemia e alla crisi economica. L’iniziativa è nata grazie ai giovani del vicariato apostolico, che raccoglie i cattolici di rito latino, e prevede la costruzione di un centro di comunità nel quartiere Rmeil, il più colpito dall’esplosione, che sarà un riferimento per 300 famiglie.

I lettori di “Avvenire” possono contribuire attraverso:

- bonifico bancario utilizzando l’Iban IT22V03111054580000 00091642

- bonifico postale o postagiro utilizzando l’Iban IT11V07601141000000 95695854

- bollettino su conto corrente postale n.95695854

- carta di credito o Paypal sul sito www.fondazionegiovannipaolo.org

Intestazione: Fondazione Giovanni Paolo II - via Roma, 3 52015 Pratovecchio Stia (AR). Causale: “Avvenire per Beirut” inserendo anche il proprio indirizzo nel campo causale.

Queste alcune proposte di aiuto con una donazione:

- 25 euro per offrire gel igienizzanti, mascherine e una scorta di cibo a una famiglia in difficoltà

- 50 euro per dare la possibilità a una persona bisognosa di mangiare alla mensa per 15 giorni

- 100 euro per contribuire all’acquisto di libri e materiale didattico per i bambini di Beirut

- 200 euro per aiutare i bambini a superare il trauma dell’esplosione grazie agli psicologi


Dalla mensa alle lezioni per i ragazzi: un laboratorio di speranza a Beirut


Era un negozio del mercato coperto a Rmeil, uno dei quartieri di Beirut più colpiti dall’esplosione del 4 agosto scorso al porto. Adesso diventerà un “laboratorio di speranza” che, seppur nel suo piccolo, possa contribuire a fermare l’esodo dei libanesi dal Paese. Compresi i cristiani, uno dei pilastri del modello di convivenza che aveva fatto del Libano una scuola di riconciliazione (e di equilibrio) fra le fedi e le culture in Medio Oriente. Il centro di comunità voluto dai giovani del vicariato apostolico accoglierà una mensa che potrà fornire fino a 800 pasti al giorno ma anche una sorta di emporio solidale dove le famiglie ritireranno il loro “pacco viveri” assieme a mascherine e gel igienizzante. Poi ci sarà il “punto salute” che coinvolgerà medici e psicologi e che intende supportare anche chi ha subito traumi in seguito all’esplosione. Un’attenzione particolare verrà riservata agli studenti perché sono molte le famiglie che per la crisi economica fanno fatica a mandare i figli a scuola. Da qui la proposta di offrire borse di studio, lezioni o ripetizione gratuite ma anche libri di testo.


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