sabato 15 giugno 2019
Eltjon Bida oggi ha 41 anni e ha pubblicato la sua vicenda. L'Italia non è razzista, ma sono aumentate le persone arrabbiate
Eltjon Bida, oggi cittadino italiano, con il libro della sua storia

Eltjon Bida, oggi cittadino italiano, con il libro della sua storia

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Anche lui ha attraversato il mare su un gommone. Venti anni fa, dall’Albania all’Italia. «È molto triste – dice pensando ai migranti che ogni giorno attraversano il Mediterraneo – Perché se anche per loro, come lo è stato per me, l’unica alternativa per salvarsi è venire in Italia non è giusto che non li accolgano». Eltjon Bida oggi ha 41 anni. Ma quando ne aveva 17 (esattamente nel febbraio 1995), ancora minorenne, è salito anche lui su un gommone della speranza. Ha rischiato la vita per raggiungere l’Italia.

La sua rotta era più breve rispetto a quella che fanno oggi, ogni giorno, centinaia di nordafricani che lasciano le coste della Libia per raggiungere l’Europa. Più breve ma non meno pericolosa. Lui era partito dall’Albania. Da una terra in ginocchio e senza speranza. Aveva un calcolo renale e si doveva operare.

Suo padre ha racimolato tutto quello che è riuscito per pagare il viaggio agli scafisti: un milione e duecentomila lire per raggiungere un Paese dove avrebbe potuto operarsi e magari costruirsi un futuro diverso. Eltjon racconta la sua storia di vita, da migrante irregolare a cittadino italiano, oggi sposato e padre di due figli, nel libro appena uscito "C’era una volta un clandestino" (edizioni PubMe). Una biografia che racconta di un viaggio ancora oggi drammaticamente attuale. «Ricordo ancora quella notte – racconta – avevo tantissima paura. Era già la seconda volta che tentavo di raggiungere l’Italia. La prima con un traghetto e documenti falsi, ottenuti in Albania. Ma ad Otranto mi hanno rimandato indietro».

Eltjon e suo padre non si sono persi d’animo. Lui voleva assolutamente raggiungere l’Italia per operare quel terribile calcolo al rene che gli provocava dolori lancinanti e che in Albania, venti anni fa lo avrebbero fatto ma, col rischio, si diceva, che avrebbero potuto espiantare l’organo sano per poi rivenderlo al mercato nero.

«L’unica alternativa a quel punto era raggiungere l’Italia su un gommone – prosegue – e così ho fatto. Eravamo in 26 c’erano anche alcune donne con bambini che sono state fatte sedere nel mezzo. Io e tutti gli altri eravamo sul bordo del gommone. Stretti uno accanto all’altro». Il padre che lo saluta dalla spiaggia. L’angoscia di un genitore che vede allontanarsi il figlio e non sa quando e se potrà ancora rivederlo. La stessa angoscia che provano quelle stesse famiglie che oggi, dall’Africa subsahariana, salutano i figli e i parenti che attraversano il deserto col sogno di farsi una nuova vita in Europa. «In quel periodo al telegiornale, in Albania, si raccontava di naufragi nell’Adriatico. Avevo molta paura ma dovevo raggiungere l’Italia».

Il mare alto, il buio, il freddo, le minacce degli scafisti armati, il piccolo nelle braccia del padre che non smette di piangere e innervosisce il timoniere senza scrupoli. La traversata dura poco più di sei ore. Eltjon e i suoi compagni di viaggio alla fine ce la fanno. A un centinaio di metri dalla spiaggia pugliese si buttano in mare e raggiungono la terra a piedi. «Sul gommone morivo di paura e quando siamo arrivati, sani e salvi, ricordo di aver provato una felicità immensa».

Da lì in poi la vita di Eltjon è tutta in discesa. Prima a Pescara, da un conoscente e poi a Milano, da senzatetto, in fila alla mensa della Caritas. Oggi è una vita da scrittore in attesa di un posto fisso, dopo il mancato rinnovo di un contratto in un grand hotel milanese. Ma non demorde e sa già che prima o poi troverà un posto fisso. «In Italia ho sempre trovato le porte aperte – confida – Oggi forse, rispetto a vent’anni fa ci sono solo alcune persone un po’ più arrabbiate. Ma non posso certo dire che l’Italia è razzista».

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