sabato 7 gennaio 2017
Basso Lazio, 1995. Don Cesare Boschin incaprettato. La camorra peggiore. Rifiuti terribili. Una nave con oltre 10mila barili di scorie chimiche
Fu la camorra dei rifiuti a uccidere 22 anni fa don Boschin?
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«Siamo più che certi. C’è roba molto pericolosa nella discarica. Anche perché tanti di noi hanno visto. Io stesso ho visto i camion e i fusti...»: Claudio Gatto è stato vent’anni braccio destro di don Cesare Boschin. E aggiunge, per farsi capire meglio: «Avevamo consapevolezza che la camorra avesse il controllo del nostro territorio».

Basso Lazio, 1995. Un prete ottantunenne incaprettato perché voleva salvare la sua gente. La camorra più infame. Imprenditoria e politica. Una nave rifiutata in tutti i porti. E oltre 10mila barili di scorie tossiche di almeno tante aziende chimiche. Siamo nel basso Lazio, gli anni intorno al 1995.

Fa freddo anche la sera del 29 marzo di ventidue anni fa. Alcuni parrocchiani e il suo braccio destro rimangono con lui fin quasi a mezzanotte, poi vanno via. Don Cesare Boschin non vorrebbe dormire solo, ha paura. Nelle settimane precedenti gli sono arrivate certe telefonate e sono andati a trovarlo due signori che nemmeno aveva invitato a sedersi, e non farlo era assai strano per quel prete. Che ha la porta sempre aperta e un tumore in fase terminale ai polmoni. La mattina lo trova nella camera da letto la perpetua.

Don Cesare è incaprettato, lividi e ossa rotte. Nastro adesivo intorno alla gola e la dentiera – accertò poi l’autopsia – che l’ha strozzato. Le indagini dureranno quattro mesi, poi l’omicidio sarà liquidato come conseguenza di una rapina. Ma quella notte sono scomparse le agende del sacerdote, mentre nella tasca della tonaca, appesa alla porta, è rimasto il portafoglio con 700mila lire dentro. E 7 milioni in una scatola nell’armadio.

Il pentito Carmine Schiavone raccontò che il basso pontino era roba della camorra. Siamo negli anni ottanta, Latina è affidata alle "cure" di Antonio Salzillo (ammazzato il 6 marzo 2009), nipote di Antonio Bardellino, fondatore del clan. Proprio Salzillo fa seppellire nella discarica di Borgo Montello, a qualche chilometro dal capoluogo, «bidoni di rifiuti tossici, per ognuno dei quali prendeva cinquecentomila lire». Tutti, a Borgo Montello, sanno che in quella discarica viene "sversato" di tutto. Spiega Claudio Gatto che «più il materiale era pericoloso, maggiore era il loro guadagno». Sempre nel 1995 l’Enea scopre tre grandi ammassi metallici, due hanno dimensioni di 10 metri per 20, l’altro addirittura 50 per 50, sono tra 8 e 10 metri di profondità. L’ipotesi su cosa possano essere mette i brividi. Tornò ad avanzarla sei anni fa l’allora Questore di Latina, Nicolò D’Angelo: «Da poliziotto, io dico che quel che c’è sotto la discarica di Borgo Montello andrebbe monitorato approfonditamente...», spiegò ai membri della Commissione parlamentare sulle ecomafie.

A metà degli anni novanta, un operaio licenziato dalla discarica raccontò di aver preso parte all’interramento, notturno, di molti fusti con sostanze tossiche. Che sarebbero stati parte dei diecimilacinquecento che erano nelle stive della nave Zanoobia e contenevano le scorie tossiche di almeno 140 aziende chimiche europee. Rifiutata dai porti di mezza Europa, nel 1988 alla fine arrivò a Ravenna. I suoi fusti furono spostati provvisoriamente in un deposito dell’Emilia Romagna e non si seppe mai come furono smaltiti. «In discarica arrivavano camion proprio da quel posto dell’Emilia Romagna...», spiega ancora Claudio Gatto.

Don Cesare Boschin stava denunciando in ogni modo quanto accadeva nella discarica e il Comitato dei cittadini contro la discarica aveva sede nella parrocchia. Dopo l’assassinio del sacerdote, il Comitato si sciolse.



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