mercoledì 4 gennaio 2017
L'ipotesi di una riapertura dei Cie, ventilata dal governo, suscita un coro di no da parte degli operatori.
Il mondo delle associazioni: serve un ripensamento
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Gli scandali, le rivolte, le inchieste su 'Mafia Capitale' con le sue ramificazioni fino al Cara di Mineo, le condanne della Cassazione e quelle della Corte europea per i diritti dell’uomo. Nessuno se li è dimenticati, perciò a leggere i documenti con cui si rimettono in moto i Cie, sono in tanti a protestare. «Gli attentati criminali che hanno colpito persone innocenti hanno moltiplicato le preoccupazioni dei cittadini verso i migranti, e hanno posto come importante il tema della sicurezza, che però non può essere affrontato con proposte parziali, frammentate, legate all’emozione del momento e che già in passato si sono dimostrate fallimentari». Così don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della carità di Milano, commenta la proposta di riaprire i Centri di identificazione ed espulsione e di attivarne uno in ogni regione italiana. «Serve invece una proposta complessiva che riguarda l’intero sistema di accoglienza del nostro Paese», aggiunge. Sono quasi 137mila i migranti ospiti delle strutture temporanee di accoglienza in Italia. Il dato (136.706) è aggiornato a venerdì 30 dicembre scorso.

L’idea del governo di fronteggiare l’immigrazione ampliando il numero di Cie, almeno uno in ogni regione, viene bocciata senza appello dalla Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana. «Si vuole riproporre - ripete il presidente don Giancarlo Perego-, una brutta copia di realtà già condannate della Commissione europea dei Diritti dell’Uomo e incorse anche in sentenze della magistratura Italiana». Il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) esprime «pieno dissenso e forte preoccupazione per la proposta di aumento del numero dei Cie annunciata dal ministro dell’Interno Marco Minniti e per il rafforzamento dei pattugliamenti ’per il rintraccio degli stranieri e allontanamento degli irregolari dal territorio nazionalè deciso dal capo della Polizia Franco Gabrielli». «Ci attendevamo dal nuovo ministro, espressione del Pd – dichiara don Armando Zappolini, presidente del Cnca - un cambio di rotta rispetto alle politiche sull’immigrazione seguite dal nostro paese, in particolare per quanto riguarda il sistema di accoglienza. Invece, i primi segnali vanno in direzione di un inasprimento di misure che si sono dimostrate totalmente fallimentari».

In una lettera-appello inviata al ministro dell’Interno Marco Minniti, padre Mussie Zerai, sacerdote scalabriniano di origine eritrea, apostolo dei migranti con la sua agenzia Habeshia, critica le scelte del governo in tema di politica sulle migrazioni. «Viene da pensare - si legge nella lettera del prete africano, già candidato al Nobel per la Pace - che lei abbia subito e perfettamente sposato, anzi, accentuato, la politica di respingimento adottata finora dall’Unione Europea e dal-l’Italia nei confronti dei richiedenti asilo e dei migranti». Si torna a parlare dei migranti «come se una risposta securitaria fosse in grado da sola di affrontare un fenomeno complesso articolato come quello delle migrazioni», osserva padre Camillo Ripamonti, che guida il Centro Astalli. «Ci pare pericoloso e fuorviante – continua il gesuita – tornare ad associare immigrazione a criminalità in un clima esacerbato dalla minaccia terroristica. Più che di politiche volte a trovare soluzioni costruttive sul lungo periodo si propongono misure apparentemente più di impatto nell’immediatezza nel tentativo di tranquillizzare l’opinione pubblica». Il presidente del Centro Astalli ricorda infatti che la legge Bossi Fini, attualmente in vigore, ha raggiunto i 15 anni di vita e «fu scritta in un momento in cui le migrazioni in Italia erano profondamente diverse da quelle attuali».

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