lunedì 13 gennaio 2025
Per Alfredo De Francesco, legale dell'ingegnere tornato a Teheran domenica, «la scarcerazione è stata motivata dall'assenza delle condizioni per l'estradizione, come ha riconosciuto il Guardasigilli»
L'avvocato Alfredo De Francesco al carcere di Opera dove è stato detenuto Abedini

L'avvocato Alfredo De Francesco al carcere di Opera dove è stato detenuto Abedini - Fotogramma

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Ha sentito in videochiamata Mohammad Abedini Najafabadi questa mattina, all’indomani del suo rientro in Iran, giorno del suo compleanno. L’avvocato Alfredo De Francesco è il legale che ha curato in Italia la difesa dell’ingegnere iraniano trentanovenne esperto di droni, arrestato il 16 dicembre su richiesta degli Stati Uniti che intendevano chiederne l’estradizione. «È sicuramente molto più sereno - racconta l’avvocato De Francesco - anche se ha dormito poco, perché è rimasto fino a tardi sveglio coi i suoi familiari. Si è coccolato il figlio piccolo, che non vedeva da molto tempo e gli mancava moltissimo. Me l’ha anche presentato durante il collegamento».

Com’è stato in carcere l'ingegnere Abedini?
È stato un momento molto faticoso, anche se era fiducioso in una decisione che sembrava inizialmente impossibile. Fisicamente stava bene, perché è stato trattato adeguatamente. Ma era in isolamento, quindi si può immaginare il suo stato dal punto di vista psicologico. Praticamente sono l’unica persona in questo periodo con cui ha parlato, a parte i giudice e l’ambasciatore iraniano.

Le accuse degli Stati Uniti sul suo conto erano pesanti.
Lo avevano indicato come un fiancheggiatore di terroristi. Lui lo ha sempre negato, così come la responsabilità sotto ogni profilo per la morte di quei soldati americani in Giordania. Questa era la cosa che più lo faceva soffrire, di essere accusato della morte di persone, quando lui sostanzialmente è uno scienziato, uno studioso. Poi mi aveva chiesto notizie di Cecilia Sala, era rimasto molto rattristato che attribuissero in qualche modo a lui l’arresto della giornalista italiana.

Abedini era rimasto colpito dall’arresto di Cecilia Sala?
In televisione, pur non capendo l’italiano, aveva visto i servizi che accomunavano sempre lui a questa ragazza. E non capiva. Poi lo colpiva che lui fosse accostato ad armi e a morti, non lo accettava. Ed è stato toccato molto, dal punto di vista umano, da quello che era successo a Cecilia Sala. Ha sempre negato che un arresto fosse legato all’altro. Non ha senso.

Immagino che, come iraniano, non abbia potuto commentare l’arresto della giornalista italiana.
Mi ha chiesto cosa fosse successo e perché in televisione il suo caso venisse presentato assieme a quello dell’italiana. Sentiva che le persone in carcere, quando passavano davanti alla sua cella, parlavano di Cecilia Sala. Mi ha chiesto di scrivergli il suo nome, di spiegargli come si pronunciava. Poi mi ha detto: “Da questo momento pregherò anche per lei, oltre che per me”. È stato l’elemento più forte, dal mio punto di vista, che l’ha reso molto più umano rispetto alla descrizione che ne era stata fatta. Sull’arresto della giornalista non ha mai detto altro, non ha espresso giudizi.

A tutti i livelli si parla di uno “scambio di prigionieri”.
No, sono fantasie. La scarcerazione di Abedini è stata un atto di giustizia. Dal mio punto di vista non è stato altro. Ho sempre sostenuto che non c’erano le condizioni per l’estradizione. Che è quello che alla fine il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha effettivamente dichiarato. È un atto giuridico, non un atto politico. Abedini è tornata a casa con un atto giuridicamente motivato che in sostanza diceva che non c’erano le motivazioni per estradarlo. Sala, tra l’altro è tornata prima di lui, non si può dire che le scarcerazioni fossero collegate. Io mi limito ai fatti. Poi ognuno la pensa come vuole.

Il materiale sequestrato al suo assistito – cellulare, pc portatile, pen drive – però non gli è stato restituito.
Sinceramente non mi sembra un fatto rilevante. Le indagini sul suo conto erano già concluse, se ne avevano chiesto l’arresto. Io mi sono occupato della sua libertà personale, punto. Una volta che è tornato a casa, del resto francamente non mi importa nulla, sono aspetti che seguono una procedura amministrativa, non giudiziaria.

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