mercoledì 27 novembre 2013
​Crescerà di 75 milioni. Le associazioni: non ce la facciamo. Lunetta (Arisla): manca una visione organica per gestire l’assistenza.  Barbieri (Federazione superamento handicap): si guarda agli interessi lobbistici prima che alle persone.
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L'Italia si dimentica dei più fragili. La politica si divide tra promesse e delusione. Il dibattito è appiattito sui Fondi. Non è solo quello per l’autosufficienza a far discutere. Manca anche una programmazione sul lungo periodo.La coperta è corta. Più generale il Fondo per le non autosufficienze, è salito a 350 milioni di euro, e incrementato per il 2014 di 75 milioni rispetto al 2013. Sembra tanto, eppure non basta. Serpeggia il malumore rispetto alle aspettative e alle necessità di quella fascia di popolazione che va sotto la grande categoria della fragilità, nonostante le manifestazioni di ottimismo nei giorni scorsi del Comitato 16 novembre, sceso in piazza davanti al ministero dell’Economia, proprio per chiedere un incremento del Fondo. Dall’anno della sua istituzione, nel 2007, il Fondo per le non autosufficienze si è tradotto in una altalena di alti e bassi: è andato dai 100 milioni iniziali ai 300 e ai 400 degli anni successivi, riscendendo a 100 milioni nel 2011. Questi ultimi, inoltre, vennero assegnati a totale appannaggio dei malati di Sla. Azzerato totalmente nel 2012, il Fondo è stato reintrodotto nel 2013 dopo il forte dibattito dello scorso anno e anche a seguito della prima protesta in piazza dei malati di Sla e delle persone affette da gravi disabilità.Ma la questione è più complessa: il quarto rapporto del Network per la Non Autosufficienza, realizzato dall’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) Inrca per l’Agenzia nazionale per l’invecchiamento, ha reso pubblici i nuovi dati. Che dicono una cosa molto chiara: le persone tutelate da un’assistenza continuativa in Italia (come l’adi, l’assistenza domiciliare integrata, per cui si fa domanda alle aziende sanitarie locali,) tra il 2010 e il 2011, o sono rimaste numericamente uguali oppure sono diminuite. «Il problema di fondo – dice Christian Lunetta, direttore medico di Arisla – è che in Italia manca la visione organica di una gestione dell’assistenza della non autosufficienza: programmi organizzativi delle asl, dei Comuni e del Terzo settore».E l’ultimo colpo è arrivato tre giorni fa in commissione Bilancio del Senato: la bocciatura di un emendamento che avrebbe fatto fare un deciso passo avanti anche alle Regioni. Nerina Dirindin, senatrice del Pd, economista esperta di politiche della salute, lo aveva presentato per chiedere di istituire presso il ministero della Salute un ulteriore Fondo «per l’assistenza sanitaria e socio sanitaria a favore delle persone con grave non autosufficienza». Quest’ultimo sarebbe stato ripartito alle Regioni con un decreto del ministero della Salute, avrebbe potuto contare su 98,5 milioni di euro nel 2014 e 3 milioni e mezzo di euro per il 2015.Ma non si trattava solo di una questione di soldi: l’emendamento Dirindin chiedeva alle Regioni di pensare a dei percorsi di assistenza specifica, che venissero integrati con prestazioni di aiuto e tutela alle persone. Un meccanismo di protezione che sarebbe stato per il 50 per cento a carico delle Regioni e coperto con riduzione dei costi della spesa farmaceutica, senza toccare le tasche dei cittadini. La senatrice Dirindin è delusa e non vuole commentare: inspiegabile il no della Commissione. La spiegazione invece c’è, secondo Pietro Barbieri della Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap), «se si guarda agli interessi lobbystici prima che a quelli delle persone». La bocciatura dell’emendamento Dirindin «ineccepibile tecnicamente – riprende Barbieri –, rappresenta una grave occasione persa di innovare profondamente l’integrazione socio sanitaria in modo razionale e soprattutto rispettoso delle persone con disabilità grave».
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