sabato 30 gennaio 2021
La "conditio sine qua non" è che l’incarico di guidare il nuovo esecutivo, ovviamente, venga affidato a Giuseppe Conte, ma questo non basta a placare di duri e puri, che temono l'ipotesi Fico
La delegazione M5s sul Colle, con il capo Vito Crimi e i capigruppo Davide Crippa ed Ettore Licheri

La delegazione M5s sul Colle, con il capo Vito Crimi e i capigruppo Davide Crippa ed Ettore Licheri - Fotogramma

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È il giorno dell’ennesima giravolta. È il venerdì della resa del Movimento 5 stelle al nemico giurato. Nel giro di poche ore la linea dei pentastellati viene completamente ribaltata: si passa come d’incanto da «mai più con Matteo Renzi» al «si riparte dalla stessa maggioranza». La decisione di riaprire le porte al leader di Italia Viva non è sofferta, di più. Una scelta che viene presa dopo un confronto tormentato ai piani alti del M5s, in cui Luigi Di Maio torna a vestire i panni del capo politico e si assume la responsabilità del cambio di linea.

«Non possiamo portare il Paese al voto in questo momento, dobbiamo essere responsabili e cercare di formare un nuovo governo», è il succo della strategia elaborata dal ministro degli Esteri e condivisa dagli altri big. Toccherà poi a Vito Crimi, al termine della terza giornata di consultazioni al Quirinale, comunicare pubblicamente la caduta del veto su Renzi. Il reggente dei 5 stelle porta sul tavolo del capo dello Stato la disponibilità dei pentastellati a ripartire dall’attuale maggioranza (quindi compresa Italia Viva) per uscire dall’impasse della crisi.

La conditio sine qua non è che l’incarico di guidare il nuovo esecutivo, ovviamente, venga affidato a Giuseppe Conte, «l’unico nome in grado in grado di condurre con serietà questa fase particolarmente complessa». La speranza – che Crimi non ammetterà mai – è che la compattezza attorno al nome di Conte sia talmente forte da far digerire a una parte del gruppo parlamentare persino il ritorno di Renzi. «Può oggi il Paese accettare che sia il momento dei veti, dei personalismi, dell’arroccarsi sulle proprie posizioni?», si chiede il "reggente".

Ma bastano pochi minuti per capire che la mossa non sarà indolore. «Il passo indietro su Italia Viva avrà conseguenze, speriamo solo che il gioco valga la candela», confidano fonti interne al Movimento. È chiaro che un po’ di maretta è stata messa in conto. Del resto la reazione di Alessandro Di Battista non si fa attendere. Il leader della fronda grillina definisce l’apertura a Renzi un «errore storico e politico» e minaccia di lasciare il M5s: «Non è possibile rimettersi nelle mani di un "accoltellatore" professionista che, sentendosi addirittura più potente di prima, aumenterà il numero di coltellate», insiste.

Le parole di Di Battista sembrano il preludio di una scissione che stavolta potrebbe concretizzarsi davvero. Nelle posizioni dell’ex parlamentare si riconosce un gruppo che non ritiene possibile dialogare ancora con Renzi, neanche di fronte ad un sì per un "Conte ter". A Palazzo Madama sono considerati "dibattistiani" di ferro tre senatori come Lezzi, Morra («Così siamo più dorotei dei dorotei», dice) e Granato. «Possiamo arrivare anche in doppia cifra», è l’avvertimento che filtra dalla corrente "Dibba".

Le chat parlamentari sono lo specchio della tensione interna ed esterna al Movimento. L’assemblea degli eletti programmata alle 21 viene cancellata per evitare che si trasformi in un "tutti contro tutti". La base è imbufalita e reagisce al nuovo abbraccio a Italia Viva con messaggi al vetriolo sui social. «Vergognatevi, vi siete rimangiati tutto», si sfogano gli iscritti. E ancora: «Traditori».

Se l’ala ortodossa minaccia lo strappo, anche il resto della pattuglia è scettico di fronte all’ipotesi di un Conte III con Renzi: «Avrebbe vinto lui e continuerebbe a giocare al rialzo chiedendo sempre di più e mantenendo la golden share del governo», si lamenta un senatore. Il timore è che il capo di Iv, oltre a chiedere l’uscita di ministri come Alfonso Bonafede e Lucia Azzolina, possa pretendere anche il "sì" al Mes.

«A quel punto altro che smottamento, ci sarebbe una spaccatura vera, profonda, insanabile», assicurano. Tanta speranza di riuscire a limitare i danni interni è riposta nell’opera che porterà avanti nelle prossime ore Roberto Fico. Il presidente della Camera dovrà valutare la composizione delle squadre in campo, vaglierà se ci sono possibilità di arrivare a un Conte-ter, ma è chiamato anche a tenere insieme un gruppo lacerato dalle divisioni e dalle lotte intestine. Tanto che il nuovo compito di Fico è accompagnato da incoraggiamenti e sostegno pubblico, ma anche dai sospetti di chi dentro il Movimento non vedrebbe di buon occhio l’ascesa del numero uno di Montecitorio: «Speriamo che chi è entrato al Quirinale da esploratore non esca da premier...».

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