mercoledì 1 maggio 2019
Inaugurata a borgo 'Tre Titoli', nel Foggiano, la struttura di accoglienza voluta dalla diocesi. Monsignor Galantino: «Cristiani e Chiesa non hanno motivo di esistere se non si occupano degli ultimi»
Al posto del ghetto una struttura di accoglienza voluta dalla diocesi
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C’è una nuova casa a borgo 'Tre Titoli', uno dei ghetti degli immigrati del Foggiano. Una grande casa bianca in mezzo alla campagna, tra casolari diroccati e baracche. È Casa Bakhita, «casa del dialogo, un agorà, espressione di una Chiesa che è 'ospedale da campo', per curare ferite che vengono da molto lontano, luogo per integrare», come la definisce il vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano, monsignor Luigi Renna. Ieri l’inaugurazione della struttura voluta e realizzata dalla diocesi, finanziata con fondi dell’8xmille e della Chiesa locale.

A tagliare il nastro monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, a lungo parroco a Cerignola. Nella grande casa ci sono una sala di culto, un ambulatorio, un centro d’ascolto legale, uno per le pratiche di lavoro, una sala per i colloqui protetti per le vittime di tratta, una mensa, le docce. Davanti un grande spazio coperto, dietro gli orti sociali. Ci opereranno i volontari del progetto 'Presidio' della Caritas, di Migrantes, Oasi 2 per la tratta, Intersos, Casa della Carità, Croce Rossa. Oltre ai medici volontari guidati dal dottore Antonio Paleari che della casa è anche il direttore. Una “squadra” che da anni opera in questo territorio. Tutti oggi sono presenti. E anche tanti immigrati che entrano cantando nella loro lingua 'Dio sei la luce, Dio sei il nostro cammino'. Alessandro parla a nome loro.

«Ci sentiamo parte di questo territorio e di questa popolazione. Apprezziamo che la comunità cattolica ci ha accettati e protetti. Qui ci sono braccia forti pronte a lavorare e a contribuire allo sviluppo di questa terra. Ma la mancanza di documenti ci rende fragili». Parole chiare. Come quelle del prefetto di Foggia, Massimo Mariani. «Questa vergogna dei ghetti della Capitanata deve essere superata, il mio è un impegno serissimo. Soprattutto facendo venire alla luce le persone che vivono in condizioni incredibili. Invece si tende a girare le spalle. Non è solo una questione di sicurezza ma di umanità. La Costituzione è la nostra guida, quando parla di uguaglianza. Queste persone contribuiscono all’economia di questo territorio, non devono essere sfruttate ».

E di questo parla anche il vescovo Renna. «Non vi sembri un paradosso, ma mi auguro che un giorno non ci sia più bisogno di un luogo come questo, perché esso nasce per andare incontro ad una situazione di segregazione sociale, frutto di una segregazione economica e culturale». Poi una risposta a chi ha criticato l’iniziativa perché la Chiesa non si occupa degli italiani. «La guerra tra poveri non ha mai portato a niente. E ci guadagna solo chi povero non è». Una denuncia che rilancia Galantino. «Il tema dell’immigrazione non se la passa bene, dentro e fuori la Chiesa, non possiamo far finta di niente. Tutto prima sembrava chiaro, ora sembra non basti neanche citare il Vangelo. Quindi non è così scontato quello che si sta facendo qua. Se prima l’accoglienza era qualcosa di apprezzabile, ora ci si deve quasi vergognare di applicare il Vangelo. Per questo – aggiunge – quello che si sta facendo qua è rivoluzionario».

Dunque, insiste l’ex segretario generale della Cei, «non ha motivo di esistere un cristiano, una Chiesa che non si occupa degli ultimi». E a chi dice 'portateli in Vaticano', replica dicendo che «dobbiamo imparare a rispondere, non possiamo stare zitti. Non li prendo a casa mia perché i problemi richiedono soluzioni adeguate, non battute polemiche, code di paglia e sorrisetti autocompiaciuti ». Conclude: «E comunque molti li prendono a casa propria, famiglie e realtà religiose e laiche italiane, grazie alle quali l’Italia vale tanto in Europa ». Come qui a 'Tre titoli' dove i braccianti presenti sono circa 400, tra loro un’ottantina di donne, molte purtroppo vittime di tratta. Nei momenti di maggiore afflusso nel borgo arrivano ad esserci un migliaio di immigrati. È il periodo della raccolta del pomodoro che richiama nel Foggiano migliaia di lavoratori. In questi giorni invece si raccolgono gli asparagi. Pagati 4,50 all’ora (dovrebbero essere 7), per 38 ore «di lavoro durissimo, sempre piegati in due», ci spiega l’avvocato Stefano Campese del 'Progetto Presidio'. «Qualcuno – aggiunge – ha il contratto, altri solo la promessa di un contratto, altri ancora un contratto “in grigio”, formalmente in regola ma poi sono pagati molto meno ». Ora per loro c’è Casa Bakhita. Davvero casa per tutti.

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