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Il passato non è anagrafe

Roberto Mussapi venerdì 29 marzo 2019
«Per unirsi più intimamente, gli uomini di indole pratica devono conversare e comprendersi su argomenti della vita reale. Ma - sulle persone come sui fatti - non si può sempre stare a parlare del presente, tanto meno speculare sul futuro; è indispensabile ricorrere al passato, che, per la maggior parte degli uomini, costituisce un'eredità comune in forme individuali. È quindi il passato che fornisce ai caratteri più pratici la base delle affinità». Ma il passato di John Marr, il protagonista di questo poemetto in prosa e versi di Herman Melville, non era quello degli uomini del villaggio in cui si era ritirato a vivere, in piena maturità, causa una ferita in uno scontro con pirati. Il loro passato non conosce avventura, le loro mani si sono posate sull'aratro, non, come quelle di John, sul timone di una nave. Quello che conta e ci riguarda è l'affermazione universale di Melville: per comunicare parliamo del presente, ipotizzando un prossimo futuro. Ma quello che ci unisce è il nostro passato. Qui, o si incontrano affinità con chi ti sta parlando e a cui parli, o ti senti solo. L'uomo d'immaginazione e avventura, è costretto a cercare il suo passato nei fantasmi della memoria, vivi, non nelle storie di altri, morte, perché nulla hanno in comune con lui. Il passato è anima, non anagrafe.