domenica 1 agosto 2021
Il IX canto del Paradiso ha come protagoniste la prostituta biblica che salvò Giosuè e la sorella di Ezzelino nota al suo tempo per i mariti e gli amanti: e Dante anticipa lo stupore di trovarle lassù
Federico Faruffini, “Sordello e Cunizza”, 1864, particolare. Milano, Pinacoteca di Brera

Federico Faruffini, “Sordello e Cunizza”, 1864, particolare. Milano, Pinacoteca di Brera - WikiCommons

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Si direbbe che Dante, nella Commedia, abbia scelto di attestare il canone biblico femminile ricordato da Adam Scoto: «Eva, Sara, Rebecca, Lia, Rachel, Bala, Zelpha, Thamar, Raab, Debbora, Ruth, Anna, Bethsabee, Esther, Iudith, Elisabeth» ( De tripartito tabernaculo, pars II, cap. VI, in PL, 198, 693B). Esse sono quasi tutte menzionate, spesso in Paradiso (o nel Paradiso Terrestre) e con ruoli eminenti: Lia e Rachele su tutte; nell’Empireo, al più alto grado, seggono Eva la progenitrice e Maria la rigeneratrice; e subito sotto, elette a far corona a Beatrice: «Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, / siede Rachel di sotto da costei [Eva] / con Bëatrice, sì come tu vedi. / Sarra e Rebecca, Iudit e colei [Ruth] / che fu bisava al cantor che per doglia / del fallo disse: “Miserere mei”» (Par XXXII, 7-12).

Un rilievo speciale è dato, nel cielo di Venere, a Raab, la prostituta che diede ospitalità agli inviati di Giosuè, li nascose e li salvò dai nemici: «In seguito Giosuè, figlio di Nun, di nascosto inviò da Sittim due spie, ingiungendo: “Andate, osservate il territorio e Gerico”. Essi andarono ed entrarono in casa di una donna, una prostituta chiamata Raab, dove passarono la notte. Ma fu riferito al re di Gerico: “Ecco alcuni degli Israeliti sono venuti qui questa notte per esplorare il paese”. Allora il re di Gerico mandò a dire a Raab: “Fa’ uscire gli uomini che sono venuti da te e sono entrati in casa tua, perché sono venuti per esplorare tutto il paese”. Allora la donna prese i due uomini e, dopo averli nascosti, rispose: “Sì, sono venuti da me quegli uomini, ma non sapevo di dove fossero. Ma quando stava per chiudersi la porta della città al cader della notte, essi uscirono e non so dove siano andati. Inseguiteli subito e li raggiungerete”. Essa invece li aveva fatti salire sulla terrazza e li aveva nascosti fra gli steli di lino che vi aveva accatastato» (Giosuè, 2, 1-6).

In un Breviarium in Psalmos (attribuito a sant’Agostino e a san Girolamo; cfr. PL, 26, 1085A) si legge addirittura – tanta è la forza dell’exemplum biblico: « Ergo anima nostra illa Raab, illa meretrix, potest concipere, et parere Salvatorem » (Psalmus LXXXVI). Anche la nostra anima, prostituta essa stessa, avvinghiata al peccato, può dar ricetto e generare il Salvatore! È certamente questo il caso più evidente dell’efficacia delle opere, la sollecitudine dell’accoglienza già ricordata nel Vangelo (Mt 25, 34-40) e ribadita da san Paolo nella lettera agli Ebrei: «Per fede Raab, la prostituta, non perì con gl’increduli, avendo accolto con benevolenza gli esploratori» (11, 31); e ripetuta da Beda e da molti altri: «Denique Raab meretrix, nonne ex operibus iustificata est, suscipiens nuntios? » (“E infine Raab, la prostituta, non fu forse giustificata e salva per le sue opere, lei che accolse gli esploratori?”; Allegorica expositio in Samuelem, in PL, 91, 650C): secondo, del resto, il detto evangelico: «Non chiunque dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli » (Mt 7, 21). E Beatrice stessa per Dante non è forse nel poema – con splendida definizione – «opra di fede»? (Purg XVIII, 48).

Dopo tanti affanni, e desolazioni, e cautele e astuzie, finalmente Raab «si tranquilla» in Paradiso: il termine, accostato a “scintilla”, è una delle rime più affascinanti di tutta la Commedia, come ben vide il Tommaseo: «E non a caso, credo io, dice che la donna di Gerico in quel pianeta alla fine si tranquilla scintillando come raggio di sole in acqua limpida [113-115], si tranquilla dall’irrequieto dibattere delle fiamme e degli amori suoi vaghi» (DDP, ad locum). Non diversa è la storia – che precede nel canto IX del Paradiso – di Cunizza da Romano, figlia di Ezzelino II, morta a Firenze dopo il 1279, donna dai molti amori e di tanti pentimenti, della quale può valere il ritratto in versi che ci lascia Ezra Pound: «e sesta figlia Madonna Cunizza / dapprima sposa a Riccardo di San Bonifacio / e poi da Sordello sottratta al marito. / E con lui giacque in Treviso / finché lui non ne venne cacciato. / E lei scappò con Bonio che era un soldato / pazza d’amore / e andò da un posto all’altro / spassandosela assai / spendendo e spandendo / finché Bonio fu ucciso una domenica / e lei passò a un signore di Braganza / e infine mise su casa in Verona» (I Cantos, XXIX, trad., per questo passo, di Giovanni Giudici).

Più volte presente nei Cantos (VI, LXXIV, LXXVI, LXXVIII), Cunizza è, per Pound, l’esempio stesso di una gratuità totalmente spesa nell’amore, un amore così pieno che non lascia – nella letizia – traccia di rimorso: «Cunizza fui chiamata, e qui refulgo / perché mi vinse il lume d’esta stella; / ma lietamente a me medesma indulgo / la cagion di mia sorte, e non mi noia; / che parria forse forte al vostro volgo» (Par IX, 3236). Quell’«indulgere a sé» è davvero “forte” ma risponde, osserva nel suo commento Benvenuto da Imola, a un impulso naturale: «essa dice bene, dacché gli ignoranti si sorprendono che una famosa prostituta sia beata, non considerando che questo vizio è naturale, e comune e quasi necessario nei giovani». Egli fa eco, qui, a Boccaccio, che negli stessi termini si era espresso, nelle sue Esposizioni, quanto agli amori di Paolo e Francesca: «Sono adunque dannati in questo cerchio, come assai fu dichiarato leggendo la lettera, i lussuriosi; intorno al vizio de’ quali è da sapere che la lussuria è vizio naturale, al quale la natura incita ciascuno animale» (commento al canto V dell’Inferno). E con più profonda verità di fede il Tommaseo: «indulgo: perdono a me il mio fallire che mi fu perdonato».

Così infine Giovanni Giudici, che da Pound eredita, volle intitolare la sua “satura drammatica” del Paradiso Perché mi vinse il lume d’esta stella (1991), aggiungendo, ai versi di questi, il proprio toccante e sommesso congedo: «Perché di tanta pena / L’amore sia narrato / La quasi santità / Del nostro unico peccato».


Terzine eponime

Tu vuo’ saper chi è in questa lumera
che qui appresso me così scintilla
come raggio di sole in acqua mera.

Or sappi che là entro si tranquilla

Raab; e a nostr’ordine congiunta,
di lei nel sommo grado si sigilla

(Paradiso IX, 112-117)

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